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28/07/2025
di Valentina Tortolini, Marketing Science Director di Bytek

AI predittiva e bias nascosti: comprendere i modelli per costruire equità

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Nella sezione "Opinioni", Engage pubblica articoli redatti da esperti italiani di digitale e comunicazione. In questo contributo, Valentina Tortolini, Marketing Science Director di Bytek, indaga il tema dei bias nei modelli predittivi e sottolinea la necessità di implementare modelli equi e trasparenti non solo come buona pratica etica computazionale ma anche per garantire fiducia, compliance e sostenibilità dei sistemi di intelligenza artificiale.


L’intelligenza artificiale predittiva gioca oggi un ruolo chiave nella definizione delle strategie di marketing, nella profilazione dei clienti e nella personalizzazione delle esperienze digitali. 

Sfruttando l'analisi di dataset multidimensionali, che includono dati comportamentali, demografici e transazionali, gli algoritmi di machine learning consentono di eseguire una clusterizzazione avanzata della customer base, inferire le intenzioni d’acquisto, alimentare sistemi di raccomandazione e ottimizzare dinamicamente le strategie di pricing e promozione.

Tuttavia, con la crescente integrazione di queste tecnologie, aumenta la responsabilità di garantire che le inferenze prodotte dai modelli siano non solo accurate, ma anche interpretabili e prive di bias sistemici. Quando un modello predittivo guida l’allocazione di risorse, determina la visibilità di un’offerta o l’accesso a un servizio, il rischio di replicare (o amplificare) distorsioni latenti nei dati di addestramento non può essere ignorato.

Implementare modelli equi e trasparenti non è solo una buona pratica etica computazionale ma anche una necessità per garantire fiducia, compliance e sostenibilità dei sistemi di intelligenza artificiale.

Da dove nascono i bias nei modelli predittivi

I modelli predittivi non generano inferenze ex novo, ma: apprendono pattern e correlazioni da ciò che è accaduto in passato (i dati storici su cui vengono addestrati). Il loro obiettivo è mappare le relazioni tra un set di feature osservabili e una variabile target (ad esempio, la probabilità che un cliente acquisti un prodotto, abbandoni un servizio o risponda a una promozione).

Ma se i dati storici sono incompleti, distorti o squilibrati, il modello, inevitabilmente, apprenderà e codificherà tali bias. Le principali fonti di distorsione sono:

  • Bias di Rappresentazione: sono tipicamente la conseguenza di un errore di campionamento, dove alcuni sottogruppi della popolazione, definiti da attributi demografici, geografici o di altra natura, possono essere sottorappresentati nel dataset. 
  • Bias Storico: se in passato certe decisioni (es. concessione di credito, priorità di assistenza, offerte) sono state prese in modo non equo, il modello imparerà a replicare tali iniquità come comportamento ottimale.
  • Bias da variabili proxy: variabili in apparenza neutre (es. codice postale, tipo di device, orario di connessione) possono essere fortemente correlate con attributi sensibili (come reddito, etnia, età). Il modello può sfruttare queste correlazioni per discriminare senza usare esplicitamente variabili protette, introducendo bias nascosti.

In mancanza di interventi specifici, l’AI non corregge le asimmetrie presenti nei dati ma le sistematizza, rendendole più difficili da identificare.

Trasparenza e explainability: capire perché un modello prende certe “decisioni”

Per costruire fiducia e accountability nei sistemi predittivi, non basta validare l’output di un modello. È fondamentale capire perché ha prodotto una certa previsione, quali fattori hanno inciso maggiormente, e se tali fattori sono giustificabili.

L’AI explainability risponde a questa esigenza, fornendo strumenti per interpretare le decisioni dei modelli in modo comprensibile anche per non tecnici. Le tecniche di spiegabilità si applicano su due livelli complementari: explainability locale ed explainability globale.

Explainability locale

Consente di analizzare in dettaglio le ragioni dietro una singola previsione. Strumenti agnostici rispetto al modello, come LIME (Local Interpretable Model-agnostic Explanations) e i valori di SHAP (SHapley Additive exPlanations) permettono di attribuire a ciascuna feature un contributo quantitativo all'output finale.

Se un modello classifica un utente come ad alto rischio di churn, SHAP può quantificare l'impatto di fattori come la bassa frequenza di utilizzo, il "time since last session" e il mancato engagement con le ultime campagne.   

Explainability globale

Fornisce una visione aggregata dell’importanza delle feature sull’intero dataset o su segmenti specifici. Questo permette di identificare pattern ricorrenti che possono riflettere bias sistemici (es. un’eccessiva enfasi su variabili geografiche o socio-economiche).

La combinazione delle due prospettive, locale e globale, è fondamentale: da un lato consente di discutere decisioni individuali, dall’altro di diagnosticare problemi strutturali e progettare correttivi.

Fairness e performance: monitorare l’evoluzione dei modelli

La costruzione di modelli equi (fair) non è un’attività una tantum, ma un processo continuo che richiede metriche dedicate, monitoraggio attivo e confronto multidisciplinare.

Fairness metrics

Oltre alla tradizionale valutazione delle performance (accuratezza, AUC-ROC, F1-score, recall), è cruciale introdurre metriche di equità computazionale.

Alcune delle principali includono:

  • Demographic parity: Il tasso di predizioni positive deve essere statisticamente equivalente tra diversi gruppi demografici (es. uomini e donne devono avere pari probabilità di ricevere un’offerta).
  • Equalized odds: la sensibilità e specificità del modello devono essere comparabili tra gruppi (es. il tasso di falsi positivi/negativi non deve variare in modo sistematico).
  • Disparate impact ratio: misura il rapporto tra la probabilità di un certo outcome per gruppi protetti e non, identificando trattamenti potenzialmente discriminatori.

Monitorare queste metriche consente di evidenziare squilibri che potrebbero non emergere dalle sole misure di accuratezza complessiva.

Monitoring in produzione

Anche un modello inizialmente equo può degradare nel tempo a causa di cambiamenti nei dati o nel comportamento degli utenti. Due fenomeni critici da monitorare sono:

  • Data drift: variazioni statistiche nella distribuzione dei variabili di input (es. nuovi pattern di navigazione, cambi di device).
  • Concept drift: variazioni nella relazione tra feature e variabile target (es. nuove tendenze di acquisto, mutate preferenze post-pandemia).

Sistemi di monitoring continuo possono rilevare queste anomalie e attivare processi di re-train, validazione o intervento umano.

Auditing periodico e validazione retrospettiva

Eseguire test di fairness ed explainability su base regolare, specialmente su nuovi segmenti emersi nel tempo, permette di prevenire accumulo di bias latenti. L’auditing retrospettivo aiuta a valutare se il modello ha favorito involontariamente alcuni gruppi rispetto ad altri, e a rendere conto delle scelte fatte.

Coinvolgimento di team multidisciplinari

Il presidio tecnico dei data scientist è fondamentale, ma non sufficiente. Affinché un modello sia davvero equo e affidabile, occorre integrare:

  • Esperti di dominio (es. marketing, retail, banking) che conoscono i contesti e gli impatti reali delle decisioni.
  • Legal & compliance: per garantire la conformità con normative su protezione dei dati, antidiscriminazione e AI Act.
  • UX e customer care: per valutare l’impatto percepito dagli utenti finali e prevenire effetti negativi sull’esperienza.

Questa pluralità di prospettive consente di passare da una fairness puramente tecnica a una fairness operativa, radicata nella realtà e orientata alla responsabilità.

Conclusione

L’intelligenza artificiale predittiva ha il potenziale di rafforzare la customer intelligence, migliorare l’efficacia delle campagne e costruire relazioni personalizzate e durature. Ma con questo potere cresce anche l’onere di garantire che i sistemi predittivi siano trasparenti, spiegabili ed equi.

Affidarsi ciecamente a un modello, per quanto accurato, senza comprenderne la logica interna, ignorando possibili bias e trascurando l’evoluzione nel tempo, può portare a decisioni errate, ingiuste o legalmente rischiose.

Adottare un approccio strutturato che combini explainability locale e globale, fairness metrics, monitoring attivo e collaborazione interdisciplinare è la via per costruire modelli realmente affidabili. Solo così l’AI potrà essere non solo predittiva, ma anche giusta. 

In quest’ottica, la Bytek Prediction Platform si basa su un approccio solido e strutturato all’uso dell’AI predittiva: la configurazione e l’ottimizzazione dei modelli vengono curate da un team dedicato di Data Science, che garantisce un supporto tecnico di alto livello. Questo consente di ottenere due vantaggi: algoritmi robusti e preconfigurati, progettati per offrire massime prestazioni in una vasta gamma di applicazioni, e un processo di personalizzazione avanzato che allinea i modelli agli obiettivi specifici del business. La collaborazione con il team tecnico prosegue oltre la fase iniziale, includendo attività di monitoraggio continuo, valutazione delle prestazioni e perfezionamento iterativo. Tale approccio permette di coniugare performance, trasparenza e controllo umano, trasformando l’AI predittiva in una leva strategica per l’attivazione dei dati.

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