Il 2025 per Maugeri - Gruppo ospedaliero italiano presente in 7 regioni con 25 sedi, tra cui 9 Irccs (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico), un centro antiveleni e un centro di ricerche ambientali - non ha rappresentato solo l'anno in cui si sono celebrati i 60 anni dalla nascita di Fondazione Salvatore Maugeri, ma anche un'operazione evolutiva: restyling del brand e dell'architettura, un nuovo pay off, un roadshow nazionale che ha coinvolto tutte le sedi e i professionisti sanitari, un sito con accessibilità certificata al 96% da Accessiway, una campagna corporate e un approccio al digitale pensato per l'era degli assistenti AI.
Ne parliamo con Franco Balestrieri, da fine 2023 direttore della Comunicazione e delle media relations di ICS Maugeri SpA Società Benefit.

Nella comunicazione di Maugeri sono già evidenti interventi sia nel rapporto con i media sia nel digitale. Avete scelto una campagna corporate senza immagini, affidata esclusivamente alla forza della parola, con il pay off “Ricerca. Cura. Persone.”. In un settore che spesso fa leva su un’iconografia rassicurante, quali motivazioni vi hanno portato a questa scelta?
In un periodo in cui "vince" ciò che si guarda più di ciò che si legge, la nostra scelta nasce da una rinuncia precisa: evitare l'iconografia rassicurante - che in sanità funziona quasi sempre - per farci riconoscere attraverso la sostanza di ciò che diciamo. Questa sostanza l’abbiamo sintetizzata nel pay-off "Ricerca. Cura. Persone.", non come etichetta, ma come sequenza identitaria: chi siamo, cosa facciamo, per chi lo facciamo e soprattutto come. Non è uno slogan, ma la sintesi della visione del fondatore Salvatore Maugeri. La Ricerca come credo - il nostro primo Irccs risale al 1969 -, la Cura come risultato, le Persone al centro. Un pay off citato in molteplici occasioni durante il tour da chi ha partecipato. La scelta di una campagna tipografica, che ha il suo lato estetico, serve a mettere davanti le parole. Siamo Maugeri, vogliamo essere riconosciuti per i contenuti sostanziali che abbiamo, non solo per un’atmosfera rassicurante.

Maugeri è un ecosistema complesso (Irccs, ICS, Poliambulatori, Centro antiveleni, centro ricerche ambientali). Come si costruisce una narrazione di brand che valorizzi queste diverse anime? E in che modo iniziative come il roadshow dei 60 anni contribuiscono a migliorare anche la comunicazione interna e il sentimento di appartenenza?
La complessità nasce dalle molteplici attività di Maugeri, ognuna con identità non solo geografica ma di posizionamento medico e scientifico. La denominazione precedente era lunga, poco memorizzabile e creava spesso incomprensioni. Il primo intervento è stato invertire la gerarchia: prima il brand Maugeri, poi la tipologia, poi il luogo. Può essere un dettaglio, ma cambia la percezione: ora chi legge riconosce Maugeri ovunque, poi capisce cosa e dove.
Il roadshow dei 60 anni, voluto dal presidente Luca Damiani e dalla vicepresidente Chiara Maugeri, ci ha impegnato per due mesi in 7 regioni, con un lavoro corale, incontrando oltre 1.500 persone. Non era celebrazione: era ascolto e racconto. Abbiamo portato storia, presente e futuro a contatto con tutti gli operatori, e ascoltato dai pazienti storie intense di cura e rinascita. Questi eventi non cementano soltanto: fanno sentire le persone parte di un gruppo.
Con il nuovo sito da luglio 2025 e la sua accessibilità certificata, quali sono stati i criteri non negoziabili nella progettazione? E qual è stata la decisione più difficile?
Il sito è giovane, sei mesi, ma è stato impostato su tre criteri non negoziabili: accessibilità “by design”, chiarezza, percorsi orientati al paziente. Sull’accessibilità abbiamo un indicatore score de 96% (AccessiWay) in riferimento alle linee guida WCAG che consideriamo un indicatore di controllo, non un “bollino”: serve a monitorare e migliorare nel tempo. L’obiettivo è orientare: meno “architettura interna”, più bisogni reali di chi arriva sul sito (capire, scegliere, risolvere, sapere a chi rivolgersi).
La decisione più difficile è stata mediare tra le diverse esigenze di ogni sede e area specialistica per arrivare a una tassonomia su specialità e percorsi comprensibili e trasversali tra realtà diverse, evitando labirinti e doppioni. È il passaggio che trasforma il sito di un gruppo da vetrina a servizio: regole comuni, coerenza e una governance di che tenga insieme 25 sedi, centri specialistici e aree in evoluzione, come l’area B2B prevista a gennaio 2026. Il risultato di oggi è solo un punto di partenza.
Nel 2022 in GVM aveva lanciato #Chiediloanoi per indirizzare le persone verso fonti autorevoli. Con l'AI che cambia il modo di cercare informazioni anche sulla salute, come deve evolvere la presenza digitale di una struttura sanitaria? E come si applica questo alla disinformazione sui social?
#Chiediloanoi nasceva da un’idea semplice: la differenza è tra informazioni affidabili e informazioni che sembrano credibili solo perché circolano molto. Oggi è ancora più attuale. Con l'ascesa di sistemi AI come ChatGPT, Claude e gli AI Overview, il rischio non è la mancanza di informazioni, ma la delega acritica alla sintesi algoritmica. In diversi casi si osserva che i siti perdono traffico perché spesso ci fidiamo della risposta dell'AI e ci fermiamo lì. Il nostro nuovo sito è progettato su una piattaforma AI-based, (AI a supporto dei processi ma con contenuti validati) perciò abilitante per questo scopo: l'obiettivo sarà essere citabili, tracciabili e semanticamente comprensibili dai modelli linguistici, senza mai cedere sulla validazione medico-scientifica del contenuto, che resta la principale garanzia di affidabilità. Serve equilibrio tra rigore e semplicità, e collaborazione vera tra chi scrive e chi cura, e progressivamente allineare ove necessario i contenuti ai principi E-E-A-T: firme, fonti, data, policy.
Sui social, la disinformazione vince per la sua semplicità, carica emotiva e aggressività. In questo quadro, la proliferazione di influencer sanitari con competenze disomogenee amplifica il rischio. Non basta essere autorevoli: serve decidere cosa pubblicare, dove e per chi. "Poche ma buone" è un criterio di lavoro. Mentre per YouTube: se non lo presidi con un progetto strutturato, è meglio utilizzarlo solo come repository. Ci lavoreremo nel 2026.
Cosa dovrebbe cambiare nel modo in cui i media raccontano la sanità?
La malasanità è più notiziabile e sui social genera più interazioni della buona sanità, spesso grazie a titoli "scandalistici", mentre l'articolo spesso resta non letto. Il danno, però, è fatto. Per tutti. Eppure, raccontare la sanità che funziona – con format ripensati e spazi adeguati – potrebbe rivoluzionare il rapporto con i cittadini, aiutando la prevenzione e nel ricucire la fiducia tra istituzioni, medici, pazienti. La Legge 219/2017 ricorda che "il tempo della comunicazione tra medico e paziente è tempo di cura": un principio che deve guidare anche la divulgazione. Smettere di alimentare solo la sfiducia e iniziare a nutrire anche la comprensione. Serve quindi un racconto efficace, che eviti la spettacolarizzazione fine a se stessa senza rifugiarsi in strumenti narrativi obsoleti. Non serve un patto formale, ma un atto di responsabilità collettivo. La sanità italiana e i cittadini, che sono prima di tutto pazienti, ne hanno bisogno.