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OneDay Post-it

A cura di OneDay

Piccole news ad alto impatto raccontate da OneDay Group! Dagli approfondimenti sull'ecommerce, passando per le novità dal mondo della comunicazione, fino ai temi che riguardano le nuove generazioni. Post-it è uno spazio di condivisione perchè è grazie alla contaminazione che nascono idee innovative e non convenzionali!

17/03/2022
di Alessandro Villa, Art Director & Visual Designer per ZooCom

Fake Streetwear: la democratizzazione del fashion?

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Il mondo del fashion è storicamente ed orgogliosamente antidemocratico.

Al giorno d’oggi le tendenze vengono alimentate da un’aura elitaria che si crea attorno ad articoli e oggetti. I brand puntano a far leva sulle emozioni, sulla produzione limitata e sulle code di acquisto formate da centinaia di migliaia di clienti, con l’unico obiettivo di far impennare il prezzo resell delle proprie creazioni, rendendo inaccessibile sia pre-vendita che post-vendita.

Per molti anni Alta moda e Streetwear si sono differenziati in maniera netta. In passato gli atelier si rivolgevano a chi ricercava nel tessuto e nella manifattura il fattore determinante per l’acquisto; di contro lo streetwear, basandosi sulla cultura surf di Los Angeles, nasce dall’unione di stili differenti: sportivo, punk e hip hop, ed è principalmente caratterizzato da pezzi casual e comodi come jeans, t-shirt, cappellini e sneaker.

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L’arrivo di giovani direttori artistici, culturalmente consapevoli, come Virgil Abloh di Off-White e Matthew M. Williams di Givenchy, ha cambiato le regole del gioco, mischiando le carte di due mazzi apparentemente diversi. È infatti tramite loro che è nato il cosiddetto streetwear "di lusso" sulle passerelle. 

Alcuni brand, tra cui Supreme, Yeezy e Palace, sono diventati così famosi da rendere quasi impossibile l’acquisto dei loro prodotti sia per il prezzo troppo alto, sia perché vanno sold-out in un batter d’occhio.

I più fanatici si affidano a percorsi non sempre legali (come i bot) per manipolare il sistema e aggiudicarsi i capi più rari e ambiti.

In questa esclusività trova terreno fertile un fenomeno culturale nato negli States negli ultimi anni, diventato popolarissimo tra la GenZ: la Dupe Culture. La traduzione del termine “dupe” è “inganno” ma non si tratta di contraffazione, bensì di una pratica che di per sé non presenta nulla di illegale.

Consiste infatti nella produzione di duplicati o repliche di pezzi originali, realizzati nell’ottica di renderli degli omaggi o dei tributi ai prodotti autentici. I “dupe” vengono generalmente distribuiti all’interno di confezioni anonime, con nomi simili ai marchi reali. La differenza la si nota in evidenti dettagli, ad esempio nella forma e nei materiali: in questo modo ogni oggetto o accessorio non punta ad essere identico all’originale ma cerca una propria unicità che si ispira al modello della casa madre.

Il fenomeno non riguarda solamente piccoli artigiani, che con questa forma di instant marketing puntano a monetizzare, ma anche giganti del fast fashion come Zara e H&M. Un esempio è la copia della borsa di Yves Saint Laurent LouLou dal valore di 1.790 euro, acquistabile con meno di 40 euro.

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Troviamo un fenomeno simile dall’altra parte del globo: le fabbriche tessili manifatturiere in Cina, che cavalcano i trend e la crescente richiesta di prodotti inaccessibili, producono repliche di diversi gradi di qualità.

I gradi di qualità servono per capire quanto una replica si avvicini al prodotto originale, e più il grado sale, più aumenta il prezzo del prodotto.

Al contrario del fenomeno statunitense, questa pratica è illegale in quanto consiste nella copia 1:1 di prodotti originali senza nessun cambiamento, anzi, molti di questi vengono forniti di etichette, certificati di autenticità contraffatti, scatole e accessori, pari agli originali.

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La domanda di queste repliche deriva dall’impossibilità di trovare i prodotti originali in vendita. Infatti, i potenziali consumatori spendono centinaia di euro per una felpa retail che sono intenzionati a rivendere subito dopo ad un prezzo raddoppiato o triplicato. Questo fa sì che l’acquisto non avvenga per passione ma per puro business. La “battaglia” ormai non è tra i più appassionati e neanche tra chi ha il click più veloce: ormai conta solo chi ha il bot o il server migliore.

Il ciclo delle tendenze è alimentato dalla scarsità: affinché i marchi arrivino allo stato di irraggiungibilità del Santo Graal, hanno bisogno di produrre quel tanto che basta per soddisfare poche richieste, lasciando molti (e in alcuni casi la maggioranza) delusi. Tutti vorrebbero un paio di Yeezy, ma cosa accadrebbe se il processo d’acquisto si semplificasse? Se si potesse entrare in un qualsiasi negozio, acquistarne un paio ed uscire senza problemi? Quasi sicuramente il desiderio e il prestigio del marchio decadrebbero. Senza quel desiderio, i produttori di contraffatti non avrebbero nulla da produrre e, inevitabilmente, anche il fenomeno del fake scomparirebbe.