Meno di un mese dopo l’uscita di una ricerca di Adalytics, ripresa dal Wall Street Journal, che poneva dei dubbi sulla trasparenza di una parte del business pubblicitario di Google - nel posizionare pubblicità video su siti esterni, lo studio rilevava come Google violasse gli standard pattuiti con gli inserzionisti - arrivano aggiornamenti sulla faccenda, con i risultati di nuovi studi condotti da IAS e DoubleVerify.
Il report di Adalytics, condotto su miliardi di impression tra il 2020 e il 2023 anche di big spender, evidenziava come l’80% delle pubblicità erogate da YouTube su siti esterni violavano i termini del servizio stipulato con gli inserzionisti, finendo su siti non verificati. Dalle analisi condotte dalle due società indipendenti IAS e DoubleVerify invece, si legge sulla stampa internazionale, emergerebbe invece come la maggior parte delle impression erano state erogate sull’inventory di YouTube stessa e non su quella dell’ad network Google Video Partner (GVP). In particolare, secondo IAS, il 96,6% delle campagne erano uscite su spazi posseduti e operati da YouTube (owned and operated) e solo il 3,4% su GVP. Allo stesso modo, anche i dati di DoubleVerify confermavano che l’inventory di GVP rappresentava solo una minima parte - il 3,1% - di quella complessiva di YouTube, e che i tassi di viewability erano allineati tra GVP e YouTube.
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Già in seguito alle accuse di Adalytics, Google aveva pubblicato un blog post in cui difendeva il proprio operato, affermando che le “affermazioni” della società di ricerca erano “estremamente inaccurate”. Nei giorni scorsi, lo stesso blog post è stato aggiornato con le evidenze delle indagini di IAS e DoubleVerify: “una metodologia inesatta porta a conclusioni inesatte”, afferma nel blog post Marvin Renaud, Director Global Video Solutions di Big G, riferendosi allo studio di Adalytics, aggiungendo che “semplicemente perché l’annuncio è stato erogato, non significa che chiediamo il conto agli inserzionisti”. “Il report [di Adalytics] ignora o non è consapevole di questa distinzione e assume in maniera sbagliata che una impression erogata è automaticamente fatta pagare – scrive il manager –. Monitoriamo attivamente il network Google Video Partners, utilizzando una combinazione di filtri automatizzati e revisioni umane, e se il nostro sistema individua traffico invalido, non facciamo pagare l’inserzionista. Anche quando il traffico invalido viene individuato dopo il fatto, Google segnala questo traffico come tale ed emette un credito all’inserzionista quando il rimborso è considerato possibile e appropriato”.
Rispondendo ad un’altra accusa di Adalytics, Renaud ha specificato che non tutte le inventory di GVP sono formati instream skippable, ma nel paniere esistono anche altri formati, tra cui gli outstream, e gli inserzionisti ne sono consapevoli al momento di impostare le loro campagne.
Il manager ha comunque fatto sapere che in futuro Google conta di espandere le attuali collaborazioni con fornitori di misurazioni esterne come IAS, DoubleVerify e Moat, sia sul fronte viewability che su quello del traffico invalido. In particolare, ha annunciato il piano di ampliare la partnership con IAS per fornire valutazioni sulla brand safety e suitability degli spazi di GVP nel prossimo futuro.