Il 2026 si preannuncia come un anno di forte concentrazione degli investimenti su digital video, social e mobile, ma anche come il punto di svolta nella gestione dei contenuti generati dall’intelligenza artificiale. È quanto emerge dall’Industry Pulse Report 2026 di Integral Ad Science (IAS), dedicato al mercato UK con outlook europeo, che fotografa un ecosistema in rapida trasformazione, dove innovazione, controllo e trasparenza diventano elementi strutturali delle strategie media.
“Nel mercato stiamo osservando la nascita di player che si costruiscono sul momentum di digital video e social, ma in un ecosistema che cambia a velocità costante”, ha commentato Csaba Szabo, Managing Director EMEA di IAS. “I contenuti influencer-driven e AI-driven aprono nuove opportunità, ma introducono anche nuove variabili di incertezza. L’Industry Pulse Report dimostra come media quality e trasparenza restino priorità assolute”.
Social e digital video restano la backbone del media planning
Secondo la ricerca, gli investimenti nel digital video restano molto forti e addirittura una top priority per l’87% dei rispondenti, mentre per l’82% lo sono il mondo display e per il 55% i podcast. I social rimangono centrali (82%) e il mobile domina come canale più rilevante (79%).
Con la maturazione di questi ambienti, la suitability diventa essenziale: per l’89%: quella di influencer e creator sarà decisiva quando si pianifica in adjacency a video digitali; per il 79% quella dei creator guiderà le scelte di advertising sui social mentre è ben il 77% a ritenere che l’influencer marketing crescerà come componente strategica nel 2026.
AI: opportunità e nuova frontiera del rischio
Il ruolo dell’intelligenza artificiale è cresciuto rapidamente nel corso del 2025 e, nel 2026, sarà una componente strutturale dell’ecosistema dei contenuti. Questo non elimina le riserve: il 56% dei professionisti considera l’esposizione a contenuti AI-generated una delle principali sfide del prossimo anno, mentre il 40% individua nei contenuti AI unsuitable una minaccia concreta alla qualità dei media.
La preoccupazione è trasversale ai canali. Nei social media, il 73% degli operatori ritiene necessario un monitoraggio continuo dell’aumento dei contenuti generati dall’AI. Nel digital video, il 77% afferma che gli advertiser dovranno dotarsi di strumenti per identificare, classificare, targettizzare o evitare attivamente i contenuti AI. Anche i retail media network si stanno preparando a rafforzare i sistemi di controllo: il 77% dichiara di registrare una presenza crescente di contenuti AI nei propri ambienti.
Verification, deepfake e nuovi standard di controllo
La risposta del mercato passa in misura crescente attraverso la verifica indipendente. L’81% degli operatori considera cruciale l’introduzione di strumenti di third-party verification per identificare e classificare i contenuti AI all’interno dei feed social, mentre il 78% ritiene questi strumenti fondamentali per difendere i brand da formati ingannevoli come i deepfake.
Tra le tipologie di contenuti da evitare, i professionisti indicano in particolare quelli percepiti come inaccurati o affetti da hallucinations (68%) e quelli giudicati spam-like o cluttered (63%), in quanto capaci di deteriorare l’esperienza utente e la percezione del brand.
Performance, qualità e nuove metriche
Cambiano anche le modalità di valutazione dell’efficacia. L’85% degli intervistati indica oggi attention e viewability come metriche centrali di performance. Allo stesso tempo, la media quality si conferma la base su cui costruire risultati efficaci: il 78% considera l’adjacency degli annunci una priorità, il 50% sottolinea la necessità di vigilare su frodi e ambienti MFA (made for advertising) e il 40% evidenzia criticità ancora aperte sul fronte di measurement e outcome.
Anche in questo ambito, i contenuti AI-generated tornano ad essere un fattore di rischio: il 56% degli operatori ritiene che richiederanno livelli sempre più elevati di controllo nel corso del 2026.
Per i publisher, la qualità non è più solo una questione di brand safety ma anche di impatto ambientale: il 40% identifica nel monitoraggio delle carbon emissions del programmatic il suo tema principale, mentre il 35% considera una viewability insufficiente come un problema ricorrente.
I retail media network orientano sempre più le loro strategie verso KPI guidati dalla qualità: l’84% lega le performance alle metriche di attenzione, l’82% a viewability e brand suitability, il 78% alla suitability dei creator e il 77% alla crescente presenza di contenuti AI nei propri ecosistemi.
La Connected TV segue logiche simili: per l’84% degli intervistati l’attenzione sarà la metrica chiave, mentre l’82% prevede un rafforzamento dei presidi di brand safety in parallelo alla crescita dell’inventory e il 76% si attende un aumento dei fenomeni di ad fraud negli ambienti CTV ad-supported.
Per molti degli intervistati si avverte il bisogno di soluzioni più potenti: per l’83% saranno critici il targeting e il tracking cross-platform, mentre per il 79% il machine learning rappresenterà un valido aiuto nel garantire la ad suitability dei propri annunci.