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09/05/2017
di Simone Freddi

Giacomo Fusina, Human Highway: «L'online arriva nei negozi: inizia l'era del "Connected Retail"»

Dal 2011, la società di ricerche indaga il ruolo della rete nei processi d'acquisto con lo studio Net Retail: «Il successo del commercio elettronico è un fattore di cambiamento sociale formidabile»

Customer experience, multicanalità, marketing, mobile, servizi, tecnologia... sono tante le possibili parole-chiave dell'edizione 2017 del NetcommForum, il più importante evento italiano sul commercio elettronico al via domani al MiCo di Milano, una due giorni ricca di approfondimenti dedicati allo scenario attuale e alle prospettive future dello shopping online.

Da diversi anni ormai, tra i partner del Consorzio del Commercio Elettronico Italiano per l'analisi delle tendenze del mercato c'è Human Highway, l'istituto di ricerca indipendente guidato da Giacomo Fusina, che con la ricerca Net Retail, dal 2011 sonda in modo continuativo il ruolo della rete negli acquisti, siano essi effettuati online o nei canali tradizionali. Due mondi che comunicano sempre di più e anche in modi nuovi, come ci spiega Fusina alla vigilia dell'evento. La nuova era del "connected retail", infatti, sta cominciando ed è pronta a rimescolare le carte, aprendo nuovi spazi anche a quella fetta di mercato che finora ha affrontato la trasformazione digitale con più prudenza.

Giacomo, gli italiani si stanno abituando a comprare online?

Sedici milioni di italiani, metà circa della popolazione online maggiorenne, si sono già abituati ad acquistare online. E in 12 milioni e mezzo di famiglie italiane è nata la figura del responsabile di acquisto digitale: persone che si prestano, per via della loro dotazione ed esperienza, a eseguire acquisti online per conto dei loro famigliari. In alcune categorie l’online è diventato il primo riferimento per gli acquisti di milioni di persone e in questi anni abbiamo visto che chi inizia ad acquistare online non smette più e, anzi, aumenta nel tempo la frequenza e la varietà di acquisto.

Le grandi associazioni di settore, come Netcomm, suggeriscono di passare dal concetto di ecommerce a quello della multicanalità. Sei d’accordo con questa visione?

Sì, quando nel 2011 abbiamo iniziato a produrre le nostre ricerche per Netcomm abbiamo impostato il lavoro considerando l’ecommerce come la prima fase di uno sviluppo più lungo e profondo che ha a che fare con la trasformazione del retail prodotta dalle tecnologie digitali. Questa prima fase è conclusa, ha generato i modelli vincenti e ha prodotto i suoi campioni, tutti nuovi soggetti nati con la Rete e nessuno del "vecchio mondo" tradizionale.

L’ecommerce è nato quando i negozi sono andati online e ora che l’online arriva nei negozi i giochi si riaprono nella logica dell’omnicanalità. Le insegne della distribuzione hanno sofferto l’ecommerce e non sono riuscite a integrarlo con successo con il canale tradizionale. Il digitale nei negozi è una cosa nuova e investe diversi momenti del percorso d’acquisto e, di conseguenza, diversi attori del sistema: la comunicazione, l’analisi dei dati, la logistica, i pagamenti, la socialità dell’esperienza e i servizi di assistenza. Il nuovo “connected retail” che oggi possiamo solo intuire promette di integrare tutti questi componenti in un solo sistema e fa di ogni esperienza di acquisto un acquisto online, guidato e reso possibile dalle tecnologie della rete. E’ questa la seconda fase evolutiva del digitale nel retail: è appena iniziata e la vedremo svilupparsi nel prossimo decennio.

Ha ancora senso distinguere tra online e offline, quando si parla di acquisti?

Sì, l’acquisto è diverso. Il consumatore non fa distinzione di canale nella relazione con il brand, sia esso un'insegna o un merchant, e chiede di poter contare su di lui in ogni momento, indipendentemente dal luogo, dal contesto e dal canale. Però nella fase di acquisto i due canali offrono esperienze molto diverse e credo che questa differenza rimarrà anche in futuro: l’online punta sull’efficienza mentre il fisico sull’esperienza ricca e gratificante.

I numeri sviluppati dall’ecommerce in Italia sono in crescita, ma lontani da quelli sviluppati negli altri grandi Paesi europei. La responsabilità è delle aziende?

Ogni realtà ha le proprie caratteristiche e l’Italia è un paese di 8.000 comuni, molti dei quali davvero piccoli ma ciascuno con una farmacia, un ufficio postale, un mercato e un supermercatino, un panettiere, il macellaio, artigiani e produttori locali, e così via. Questo è il contesto di partenza che, unito alla scarsa penetrazione delle tecnologie digitali e dei sistemi di pagamento cashless, ha prodotto per oltre un decennio un mix inibitore molto forte all’ecommerce, come prima aveva fatto per le vendite a catalogo.

Il merito delle aziende che hanno investito nell’ecommerce è aver creato una nuova cultura di servizio al cliente, un aspetto sul quale le imprese italiane di servizi non avevano mai particolarmente investito (banche, utilities, trasporti e lo stesso retail). E’ questa l’innovazione più profonda che le aziende dell’ecommerce – in particolare quelle straniere - hanno prodotto nella società italiana. Noto che questo nuovo stile si sta propagando a tutto il retail e spero che prima o poi investa anche la Pubblica Amministrazione.

A livello “macro”, quali sono a tuo avviso le particolarità dello scenario italiano che impediscono all’ecommerce di svilupparsi quanto potrebbe?

Io credo che l’ecommerce si stia sviluppando in modo organico e lo sta facendo a un tasso notevole (il 20% di anno in anno da diversi anni). Gli inibitori storici di cui parlavamo prima sono stati rimossi e quest’anno si spenderanno online 5 miliardi di euro in più rispetto al 2016. Quello che non finisce di stupirmi è avvertire ancora, sia nelle nostre ricerche che nelle chiacchierate con gli amici, un senso di sfiducia nei confronti della prassi dell’acquisto online, poco argomentato ma molto forte.

Non riguarda solo i pagamenti, come spesso si dice. C’è sfiducia nei confronti dei merchant che erogano il servizio e nei confronti di un "mondo là fuori" che non si conosce e non si controlla e che dà ad alcuni la sensazione che sia congegnato per "fregarti". Questo è un problema grosso, non si limita all’ecommerce ma riguarda le innovazioni di servizio e di processo offerte dalla Rete. Leggo in questa sfiducia di fondo l’origine di molti problemi del paese: la resistenza al cambiamento, il rifiuto della logica della distruzione creativa, la fatica che incontra chi prova a innovare, l’avversione al rischio di chi potrebbe investire e uno sguardo cinico verso l’idea che le cose si possano migliorare. Ecco, in questa prospettiva il successo dell’ecommerce è un fattore di cambiamento sociale formidabile.

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