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26/08/2020
di Teresa Nappi

Programmatic: in crescita l'in-housing e i modelli di gestione ibridi tra le aziende

Secondo il WFA, gli inserzionisti sono più consapevoli dell'importanza di avere un controllo nella filiera. L'84% sceglie questo approccio, ma le agenzie restano alleati fondamentali

Una ricerca della World Federation of Advertisers ha rivelato che la stragrande maggioranza dei principali inserzionisti utilizza ora trading desk interni o modelli ibridi di management per i propri acquisti in programmatic.

La ricerca presenta il resoconto di una serie di interviste effettuate a 37 grandi aziende (che insieme rappresentano una spesa pubblicitaria di circa 76 miliardi di dollari) che il WFA ha pubblicato nella sintesi della sua Programmatic, Data & Technology Global Survey 2020.

Dai dati diffusi, emerge che oggi l'84% di queste aziende, sta utilizzando un trading desk interno o un modello ibrido di "managed service".

Un aumento considerevole dal solo 21% restituito dalla stessa ricerca condotta da WFA nel 2016.

Ma al contrario di quanto si possa pensare, le agenzie rivestono, anche in questo scenario, un ruolo molto importante. Mosse di grandi brand come Vodafone - che ha optato per gli acquisti programmatici in-house (leggi qui) - possono aver indotto a pensare che ci si avviasse verso un mondo senza agenzie, ma il quadro che emerge oggi è molto diverso.

Gli inserzionisti, secondo la ricerca, optano maggiormente per approcci combinati che contemplano anche il ricorso alle agenzie, ma lo fanno con maggiore coscienza e know how.

Tre quarti (74%) delle aziende intervistate ha dichiarato infatti di aver utilizzato un trading desk di agenzia, dato rimasto sostanzialmente inalterato rispetto al 72% del 2016. E quasi la stessa cifra, nel frattempo, utilizza trading desk indipendenti (71%), rispetto al 46% del 2016.

La ricerca ha inoltre rilevato che, a livello globale, due quinti (41%) dell'investimento complessivo nei media digitali viene ora effettuato in programmatic, ma ci sono differenze significative tra le regioni: la cifra è del 50% negli Stati Uniti, del 31% in Europa e del 20% in Asia-Pacifico.

Maggiore consapevolezza sull’importanza dei dati di prima parte

Il WFA ha riscontrato, inoltre, che gli inserzionisti sono anche più consapevoli della necessità di strategie fondate sui first-party data, soprattutto in un momento in cui i media digitali si stanno avviando verso orizzonti cookieless.

Nonostante una spiccata consapevolezza rispetto a questo punto, solo il 28% delle aziende ha affermato che sono stati sfruttati in modo completo o significativo fino ad ora (ne abbiamo parlato in modo approfondito qui).

Fa eccezione però l’Asia-Pacifico dove, in contrasto con il livello inferiore di acquisti programmatici, la maggioranza dei professionisti del marketing (54%) afferma di essere più preparata rispetto ai colleghi occidentali sull’uso dei dati di prima parte.

L'analisi dei dati

A tirare le somme sui dati emersi dalla ricerca è Ranji David, director, Asia-Pacific, marketing services del WFA: «Solo ora molti inserzionisti stanno assumendo un maggiore controllo del processo di acquisto programmatico, attraverso un uso sapiente di modelli interni, ibridi e di agenzia. Qualunque modello scelgano, comunque, è la trasparenza della supply chain a essere fondamentale, in modo che gli inserzionisti possano valutare quali elementi stanno contribuendo alla crescita del loro business e al ROI di marketing», ha detto ancora David.

«I brand che optano per una maggiore trasparenza e per la proprietà di dati, stack tecnologico o modelli di acquisto - continua - si tradurranno rapidamente in attori del mercato più forti con migliori relazioni con clienti e agenzie. Anche se questo potrebbe sembrare in contraddizione, ciò che questo report mi comunica è che il maggiore interesse per i modelli di in-housing o ibridi non va a discapito dei modelli di agenzia. Piuttosto, chiama queste ultime a evolversi di pari passo con le esigenze dei clienti per offrire un servizio sempre più efficiente a clienti sempre più preparati».

La ricerca è stata condotta nel quarto trimestre del 2019 e nel primo trimestre del 2020, il che significa che non riflette gli impatti della pandemia di Coronavirus, che ha portato a un aumento dei livelli di acquisto online e di utilizzo dei media digitali.

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