Omnichannel Customer Experience, la ricerca del Politecnico: cresce l’AI ma le aziende italiane non hanno ancora fondamenta solide
OCX Index in calo: solo il 7% delle imprese è realmente maturo. Aumentano i progetti di AI, ma spesso senza governance e strategia integrate
Secondo la nuova ricerca dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience del Politecnico di Milano, presentata nel convegno “Omnichannel Customer Experience: si accelera con l’AI, ma senza fondamenta solide”, la trasformazione omnicanale delle imprese italiane sta attraversando una fase di assestamento. Le aziende accelerano sull’adozione dell’Intelligenza Artificiale, ma incontrano difficoltà nel consolidare processi, governance e cultura organizzativa.
Il quadro emerso descrive una realtà ancora poco strutturata: solo il 28% delle grandi imprese ha una figura responsabile dedicata all’omnicanalità, nel 34% dei casi il top management guida la trasformazione, appena il 36% ha costruito una Single Customer View e solo un terzo applica pratiche avanzate di data cleansing e analisi, elementi essenziali per una personalizzazione evoluta dell’esperienza cliente.
Il livello medio dell’OCX Index, che misura la maturità omnicanale su dimensioni tecnologiche, organizzative e di processo, scende a 4,4 su 10, dopo il 4,8 registrato nel 2024. Una leggera flessione dovuta sia all’ingresso di nuove imprese meno strutturate, sia alla difficoltà delle aziende più avanzate nel consolidare trasformazioni complesse.
“Nel 2025 vediamo crescere la consapevolezza più della maturità”, osserva Sara Zagaria, Direttrice dell’Osservatorio. Secondo la ricercatrice, solo il 7% delle imprese può oggi essere definito realmente avanzato, grazie a “una visione chiara, una governance solida e l’integrazione strutturata dell’AI nei processi di gestione del cliente”. Per il resto del mercato, il freno principale riguarda strategie parziali, tecnologie disallineate e culture organizzative non ancora pronte al cambiamento.
L’AI avanza a ritmi rapidi, ma senza una regia unica
Nonostante le fragilità strutturali, l’Intelligenza Artificiale cresce in modo deciso. L’81% delle grandi imprese che investono in AI ha avviato progetti a supporto della gestione del cliente, in aumento di 12 punti rispetto al 2024. Particolarmente rilevante il balzo della GenAI, adottata dal 66% delle aziende contro il 22% dell’anno precedente, favorita anche dalla diffusione di tool generalisti come ChatGPT.
L’utilizzo dell’AI è più diffuso nel marketing e nella comunicazione (61%), dove automatizza attività operative come la creazione di contenuti, e nel customer service (51%), dove abilita instradamento intelligente, classificazione delle priorità e sintesi in tempo reale. Rimane invece limitato nelle vendite (30%), dove gli investimenti si concentrano su churn prediction e sistemi di Next Best Action/Offer.
Secondo Marta Valsecchi, Direttrice dell’Osservatorio, “la distanza tra l’entusiasmo per l’innovazione e la reale capacità trasformativa delle imprese resta ampia”. Solo il 23% ha integrato l’AI lungo l’intera catena di gestione del cliente e circa una su quattro non misura gli impatti in modo strutturato. Dove il monitoraggio è presente, però, emergono risultati rilevanti: una azienda su due rileva un aumento di produttività superiore al 20% in marketing e customer service.
La maggior parte dei progetti di AI viene sviluppata a silos, senza governance centralizzata: in circa metà delle imprese, le Business Unit agiscono in autonomia, rischiando di costruire soluzioni frammentate e poco scalabili. Solo un quarto coordina gli sviluppi tramite una direzione centrale.
Tra le aziende osservate emerge una piccola avanguardia che rappresenta un benchmark concreto. In queste realtà, nel 82% dei casi il top management guida attivamente il cambiamento, la governance dei progetti di AI è centralizzata e i KPI di customer experience sono integrati nelle dashboard aziendali (100% contro il 38% del resto del campione).
Si investe inoltre in maniera continuativa sul potenziamento delle competenze, con programmi di formazione e task force interdisciplinari. In questo scenario, l’AI diventa una leva trasformativa che supporta le persone invece di sostituirle, semplificando attività ripetitive e valorizzando quelle a maggior valore aggiunto.
Come spiega Nicola Spiller, Direttore dell’Osservatorio, “il problema non è adottare l'AI, ma integrarla in modo efficace nelle strategie OCX”. La flessione dell’OCX Index è interpretata come un campanello d’allarme ma anche come il segno di una crescente consapevolezza: molte aziende scoprono oggi che le proprie fondamenta non reggono le sfide dell’omnicanalità evoluta. Il rischio, secondo Spiller, è la creazione di un “OCX divide” crescente tra chi ha investito su dati, governance e competenze e chi rincorre accumulando ritardi.
L’area più critica è quella dei dati e della tecnologia. L’indice OCX in questo ambito scende da 5,1 a 4,4. Il 50% delle aziende non dispone dei dati necessari per una personalizzazione avanzata e solo il 20% ritiene il proprio ecosistema tecnologico adeguato. Figure chiave come il Responsabile MarTech sono presenti nel 71% delle aziende più mature, ma solo nel 34% del totale.
Anche il tema delle competenze è centrale: solo l’11% delle imprese ritiene di avere skill avanzate sull’AI. La mancanza di profili in grado di integrare customer knowledge, analisi e tecnologia rallenta la scalabilità dei progetti e riduce l’impatto delle iniziative.
“L'AI ha alzato l'asticella”, conclude Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio. Secondo Noci, “l’entusiasmo iniziale sta lasciando spazio alla lucidità: i progetti non bastano più, serve un’infrastruttura omnicanale in grado di durare, evolvere e generare valore reale”. Una governance chiara, una data strategy solida e un modello organizzativo integrato diventano quindi condizioni essenziali per trasformare l’AI in valore misurabile, per clienti, dipendenti e imprese.