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Content Creation

Silvio De Rossi
a cura di Silvio De Rossi

Content Creator e Influencer, collabora con i più importanti Brand del panorama automotive e non solo. Founder di Stylology.it, nel suo passato Televideo Rai e Mediavideo, i veri antenati di internet. E’ stato responsabile editoriale di Blogosfere.it, partecipando al successo del network di blog più grande d’Italia. In seguito è stato direttore responsabile di Leonardo.it. Si occupa di produzioni foto e video con particolare attenzione ai format più adatti ai social network.

22/12/2021

Un documento svela: l’algoritmo di TikTok ci legge la mente

Gli algoritmi sono la base portante del mondo digitale che popoliamo da anni. Un documento pubblicato dal New York Times ci svela come TikTok riesca a leggere la nostra mente

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Il 5 dicembre scorso un articolo apparso sul New York Times dal titolo “Come TikTok legge la tua mente” ha destato scalpore e grandi discussioni sui blog di tutto il mondo. La fonte è il documento “TikTok Algo 101” portato alla luce da una fonte anonima. Il giornalista Ben Smith ci spiega il meccanismo di funzionamento dell’algoritmo che governa il social più in voga del momento. Ci troviamo di fronte ad una vera opera d’arte informatica: l’algoritmo di TikTok sembra avere una marcia in più rispetto a quelli di suoi diretti concorrenti (Instagram su tutti), riuscendo a suggerire agli utenti, in modo nettamente migliore, quali contenuti visualizzare.

Il documento “TikTok Algo 101”, che un portavoce del social ha confermato veritiero, svela che l’algoritmo ha quattro obiettivi principali da raggiungere: il valore utente, il valore utente a lungo termine, il valore della piattaforma e il valore creator. Ogni video caricato in piattaforma, in base alle interazioni degli utenti e alle sue caratteristiche, riceve un punteggio. Al singolo utente verranno poi mostrati i video che hanno il punteggio più alto. Ho semplificato il concetto così da renderlo più digeribile possibile da tutti, ma dietro a questo algoritmo c’è un complicato equilibrio di numero di like, commenti, interazioni e tempo di riproduzione del contenuto. Questi dati vanno a formare gli indicatori di qualità di cui TikTok si avvale per ottimizzare le visualizzazioni dei video.

Lo scopo sarebbe quello di favorire i contenuti in grado di monetizzare di più: a tal proposito, si giustificherebbe anche il fatto che l’algoritmo tenderebbe a favorire i video degli account che pubblicano più spesso e che sono in grado di catturare l’attenzione degli utenti.

Scendendo in dettagli più tecnici, si può affermare che l’obiettivo finale di TikTok è rappresentato dallo scopo di attirare il maggior numero di utenti quotidiani attivi e che per farlo si affida a due tipologie di metriche. La prima è il tempo di permanenza (il tempo che un utente trascorre sull’app di TikTok), la seconda è la retention (la tendenza, da parte dell’utente, a tornare sulla piattaforma).

Ma quali sono gli effetti negativi di un algoritmo capace di “leggerci la mente”? Il voler “costringere” l’utente a restare più tempo possibile sulla piattaforma potrebbe scatenare (o ha già scatenato?) fenomeni di dipendenza. E non solo: suggerire contenuti molto simili a quelli visualizzati, potrebbe amplificare stati d’animo negativi o convinzioni errate. La fonte anonima del New York Times ipotizza che vedere una serie di video tristi possa portare, in casi estremi, a compiere atti di autolesionismo.

L’articolo ci mette in guardia su derive preoccupanti, ma di fatto non ha scoperto nulla di nuovo. Viviamo in un mondo digitale che poggia la propria struttura complessa su una rete di algoritmi. Grazie a questi Google ci suggerisce i migliori risultati di ricerca, Spotify le canzoni più adatte ai nostri gusti musicali, i siti di dating le persone con cui potremmo trovare piacevole avere una relazione, Facebook e Instagram ci mostrano i post che potrebbero interessarci di più. E potrei andare avanti parlando di Twitter, LinkedIn e molti altri social, senza dimenticare Amazon e lo shopping compulsivo che colpisce molte persone.

Abbiamo comunque già guardato dietro alla tenda del mago di Oz. Questa situazione non ci stupisce più e sorridiamo ripensando a quando con stupore trovavamo il banner sul volo aereo per Roma dopo aver cercato il biglietto più economico su Google. Gli algoritmi sono il motore, il cuore, la vera anima di servizi online e piattaforme social. Ma evidentemente sono anche motivo di preoccupazione, soprattutto dal punto di vista della violazione della privacy. A tal proposito è calzante il caso di Clearview AI, una società di riconoscimento facciale, che è stata aspramente criticata dopo che il governo degli Stati Uniti ha dato il via libera ad un brevetto che consentirebbe all’azienda di avere accesso ad un numero imprecisato di fotografie recuperate sui social e sul web. Milioni di persone rischierebbero così, senza aver prestato alcun consenso, di ritrovarsi all’interno di un database. A questo punto non mi resta che porre la domanda più importante: ma la privacy, ormai, non è un concetto obsoleto? Mette i brividi pensarci.