Si è svolto a Milano, presso Palazzo Mellerio, l’appuntamento conclusivo del ciclo 2025 dei Digital Coffee di Jakala, dedicato al tema “Costruire l’AI Factory: dal dato all’impatto di business”. Dopo un anno di incontri verticali su media, largo consumo, energia, automotive, lusso e privacy, il format ha riunito manager e leader dell’innovazione per tracciare una visione d’insieme sul ruolo strategico dell’Intelligenza Artificiale nelle imprese.
L’edizione finale ha posto al centro la necessità di superare la fase degli esperimenti isolati, costruendo una capability aziendale solida e scalabile. L’AI, è stato ribadito, non può più restare confinata nei laboratori: deve diventare parte dell’infrastruttura operativa, abilitando decisioni, produttività e nuovi modelli di business.
AI Factory: dall’architettura dati alla conoscenza condivisa
Il dibattito è partito dal modello dell’AI Factory, l’approccio operativo con cui Jakala accompagna le aziende verso un uso industrializzato dell’Intelligenza Artificiale. Il framework si basa su tre pilastri: un’architettura dati robusta, la trasformazione dei processi tramite automazione e AI, e l’impatto misurabile su performance, marketing, vendite ed efficienza interna.
«La differenza tra AI che funziona e AI che fallisce sta nella qualità della conoscenza sottostante», ha spiegato Vittorio Di Tomaso, Solution Design Managing Director di Jakala.

Nella foto, Vittorio Di Tomaso apre la tavola rotonda del Digital Coffee
Secondo Di Tomaso, il cambiamento in corso non è più solo tecnologico ma organizzativo:
«Abbiamo parlato tanto di tecnologia e fatto tanti esperimenti. Adesso finalmente parliamo di processi, di cambiamenti organizzativi e naturalmente di valore. La trasformazione non può essere fatta un pezzetto alla volta: bisogna partire dagli obiettivi di valore e montare su questi i processi di trasformazione».
L’AI entra nei processi reali
La tavola rotonda, animata anche da un intervento di Carlo Luzzi, Ingegnere della Honda Racing Corporation in MotoGP, ha coinvolto Davide Consiglio, Country Data Officer di Generali; Alexis Grigoriadis, Cmo di Eurobet; Alessandro Penasa, Ceo di DAO e Marcello Savarese, Chief Data Analytics Officer di Wind Tre. Il confronto ha evidenziato come l’AI stia entrando in una seconda fase della sua evoluzione: non più strumento sperimentale, ma componente essenziale dei processi quotidiani.

Nella foto: un momento dell'evento
Wind Tre, per esempio, ha già industrializzato l’AI su larga scala: «Abbiamo sviluppato un centinaio di modelli che girano in produzione tutti i giorni, in differenti ambiti dell'organizzazione: dal customer value management alle logiche di churn, di upselling e cross-selling», ha raccontato Savarese. Il manager ha sottolineato anche il ruolo dell’AI nella gestione delle reti e nell’ottimizzazione dei costi: «Abbiamo un’enorme quantità di capex dedicata alla rete. Come ottimizzarla per garantire la miglior esperienza possibile ai clienti? Anche questi approcci vengono gestiti con logiche di intelligenza artificiale».
Tra le sfide ancora aperte, il tema della resilienza delle infrastrutture tecnologiche:
«Le evoluzioni sono così veloci che anche le nostre infrastrutture devono essere resilienti. È un tema che riguarda qualsiasi organizzazione che decide di affrontare i propri processi in base a queste metodologie», ha detto Savarese.
Dalla sperimentazione alla scalabilità
Il Digital Coffee ha mostrato come l’adozione dell’AI richieda una revisione profonda dei modelli aziendali: centralità della conoscenza, integrazione dei processi, standardizzazione delle basi informative. Un percorso che, secondo Jakala, deve portare a considerare l’AI non più come un progetto ma come un’infrastruttura.
«Parlare di AI oggi significa parlare di architettura della conoscenza», ha aggiunto Di Tomaso. «Con l'AI Factory vogliamo far superare alle aziende l'idea dell'esperimento isolato: serve una knowledge base strutturata che permetta all'AI di comprendere il business nella sua interezza».