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di Andrea Di Domenico

Dieci Stati USA accusano Google e Facebook di avere manipolato il mercato pubblicitario

Il Texas guida una nuova causa contro Mountain View. Nel mirino ci sono anche presunti accordi anticoncorrenziali con il social network

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Google fronteggia una nuova azione legale per condotta anticompetitiva. A intentarla stavolta sono dieci stati americani, guidati dal Texas. "Il Golia di internet ha usato il suo potere per manipolare il mercato, distruggere la concorrenza e danneggiare voi, i consumatori", ha twittato Ken Paxtron, il procuratore generale dello stato che guida la coalizione. Nel mirino della causa c'è la pubblicità, dalla quale Google ha ricavato ben 37,1 miliardi di dollari nell'ultimo trimestre.


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Tra le contestazioni rivolte alla società di Mountain View, accusata dai 10 Stati di "abusare del suo potere monopolistico" per minare la competizione nel mercato delle pubblicità online, c'è anche quella di aver stipulato, a partire dal 2018, accordi con la rivale Facebook che avrebbero limitato la concorrenza. 

Di quali “accordi” vengono additate Google e Facebook? Stando alla dettagliata ricostruzione di Wired, la vicenda secondo l'accusa ha le sue radici nel 2017, quando Facebook ha annunciato che avrebbe iniziato a supportare la tecnologia di compravendita di annunci online chiamata "header bidding", la tecnica che permette a un editore di aumentare i propri ricavi pubblicitari sollecitando offerte da più potenziali acquirenti in modo simultaneo. 

Secondo l'accusa, scrive Wired, Google “odiava” l'header bidding, in quanto pensato per creare maggiore concorrenza, e quando Facebook ha dichiarato che avrebbe lavorato con editori che utilizzavano l'header bidding, ciò sarebbe stato visto da Mountain View come una provocazione. I milioni di aziende che fanno pubblicità con Facebook, ricorda Wired, non si limitano a fare pubblicità sul social di Mark Zuckerberg: attraverso il Facebook Audience Network, la società inserisce anche annunci sul web, rendendola uno dei maggiori acquirenti di pubblicità su internet. Se avesse iniziato a supportare l'header bidding, ciò avrebbe causato la perdita di molti affari da parte della piattaforma pubblicitaria di Google.

Attingendo a documenti interni scoperti durante la sua indagine, tuttavia, il procuratore generale del Texas afferma che i leader di Facebook non volevano effettivamente competere con Google. Nel settembre 2018, le società avrebbero quindi concluso un accordo. Facebook, affermano i suoi accusatori, ha accettato di "ridurre le sue iniziative di header bidding" e dirottato milioni di inserzionisti del suo Audience Network verso la piattaforma pubblicitaria di Google. In cambio, Google avrebbe concesso vantaggi speciali all'Audience Network di Facebook nelle aste pubblicitarie, incluso l'accantonamento di una quota di annunci riservati alla rete pubblicitaria di Facebook, anche quando questa non ha fatto l'offerta più alta. L'accordo, afferma la denuncia, "fissa i prezzi e distribuisce i mercati tra Google e Facebook".

Google, riporta sempre Wired, avrebbe già respinto le accuse bollandole come “prive di valore” e precisando che Facebook è uno degli oltre 25 partner che partecipano al programma Open Bidding di Google, senza ricevere alcun trattamento speciale. 

Sia come sia, la nuova causa intentata dal Texas (e l'Arkansas, l'Indiana, il Kentucky, il Missouri, il Mississippi, il South Dakota, il North Dakota, lo Utah e l'Idaho) contro Google si somma ad altre due importanti azioni legali aperte quest'anno da vari soggetti statunitensi contro le big tech: dal Dipartimento di Giustizia contro i servizi di ricerca della stessa Google e dalla Federal Trade Commission contro Facebook.

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