di Alessandra La Rosa

La strategia post-cookie di Google è una buona o una cattiva notizia per il mercato?

L’annuncio di Big G di non voler puntare su identificatori individuali divide gli operatori del settore

La strategia post-cookie di Google divide il mercato

Il futuro del tracciamento nell’era post-cookie è un tema che negli ultimi tempi ha dato molto da pensare agli operatori del mercato pubblicitario. Il mondo dell’advertising digitale, in questi anni, ha molto fatto affidamento sui cookie di terze parti non solo per profilare i consumatori ma anche per misurare le performance delle campagne. Pian piano però i principali browser stanno vietando l’utilizzo di questi strumenti, e dunque il mercato si è trovato a dover individuare possibili alternative altrettanto efficaci ma allo stesso tempo rispettose della privacy.

Nei giorni scorsi, anche Google ha detto la sua sul tema, facendo chiarezza su quella che sarà la sua strategia dopo che avverrà il blocco dei cookie di terze parti sul suo browser Chrome, atteso nel 2022: non creerà identificatori alternativi per monitorare le persone mentre navigano su internet, né li userà sulle sue property. Andando dunque contro quella che si stava affermando come una vera e propria tendenza nel settore: quella di ID condivisi che riuscissero a seguire il singolo utente nei suoi comportamenti di navigazione e non solo.

La strategia post-cookie di Google

Google ha spiegato che l’idea di creare degli identificatori simil-cookie, ossia capaci di identificare un utente a livello individuale, non è un investimento sostenibile a lungo termine, in quanto tali soluzioni non soddisferebbero le crescenti aspettative che le persone hanno in termini di privacy, né resisterebbero alle restrizioni normative in rapida evoluzione.


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Big G opterà invece per quelle che chiama “coorti”, ossia grandi raggruppamenti di persone con interessi simili all’interno dei quali i singoli individui sono resi anonimi. "I nostri ultimi test sulla tecnologia FLoC (Federated Learning of Cohorts, ndr) mostrano un modo per eliminare efficacemente i cookie di terze parti dalle tecniche pubblicitarie, rendendo anonimi i singoli individui all'interno di grandi raggruppamenti di persone con interessi simili (coorti). Chrome intende rendere disponibili le coorti basate su FLoC per test pubblici nella prossima release di questo mese, mentre prevediamo di iniziare a testare le coorti basate su FLoC con gli inserzionisti di Google Ads nel prossimo trimestre. La direzione è quindi quella di un futuro in cui non sarà necessario rinunciare a pubblicità pertinenti e monetizzazione per offrire un'esperienza privata e sicura”.

Il concetto di coorti è alla base del funzionamento del Privacy Sandbox, l'iniziativa aperta lanciata nel 2019 da Chrome finalizzata al superamento dei cookie di terze parti e all'individuazione appunto di soluzioni alternative.


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Le reazioni del mercato

Ma che impatto avrà questa strategia post-cookie di Google quando entrerà definitamente in vigore? Le reazioni del mercato su questa sua decisione sono state contrastanti.

Per Konrad Feldman, Co-founder e Ceo della data-company Quantcast, la decisione di Google di non supportare le iniziative di identity del settore rappresenta per editori e creatori di contenuti «una pessima notizia», in quanto conferma «la volontà di danneggiare la rilevanza della pubblicità nell’Open Internet».
 

Konrad Feldman, Co-founder e Ceo di Quantcast

«Quasi 5 miliardi di persone si affidano all’Open Internet per accedere a informazioni, news, contenuti formativi e d’intrattenimento di qualità e affidabili. Google ancora una volta ha mostrato la volontà di danneggiare la rilevanza della pubblicità nell’Open Internet. Una mossa che andrà a completo beneficio delle miniere d’oro del motore di ricerca e di YouTube che non verranno per niente influenzati da questa operazione - attacca Konrad Feldman -. Siccome nell’Open Internet diventa ancora più difficile erogare una pubblicità efficace o addirittura effettuare una misurazione dell'efficacia, molti degli investimenti pubblicitari entreranno direttamente nelle casse dei giganti del tech a discapito di un internet libero e aperto.»


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Anche gli editori europei esprimono preoccupazione sul tema. Secondo le associazioni degli editori Ue (Enpa ed Emma), la decisione di Google «influenzerà il mercato pubblicitario e sconvolgerà il modello di business della stampa digitale”, oltre a consentire a Google di «espandere ulteriormente il proprio monopolio dei dati». «Un cambiamento così radicale non deve essere deciso da un gigante tecnologico privato», sottolineano le associazioni, che si appellano ai legislatori Ue affinché, con il disegno di legge sui mercati digitali presentato a dicembre (Digital Services Act-Digital Markets Act), agiscano «per limitare il potere discrezionale delle piattaforme gatekeeper, salvaguardare la concorrenza leale e la sostenibilità della stampa in Europa».

Di opinione diversa è invece Mathieu Roche, CEO e Co-Founder della società specializzata in identity ID5, secondo cui anzi la decisione di Google potrebbe favorire una più libera competizione tra gli operatori del settore. «L’annuncio di Google non è una grande sorpresa in quanto la sua linea da 12 mesi a questa parte è stata focalizzata sull’iniziativa del Privacy Sandbox – dichiara –. Ma il chiarimento che ha fornito è comunque una grande notizia per gli operatori ad tech indipendenti e per i loro clienti. Significa infatti che SSP e DSP avranno un vantaggio competitivo su Ad Manager, Open Bidding e DV360 di Google. Significa anche che gli editori avranno più alternative di monetizzazione delle loro audience e i brand avranno maggiori opzioni per la gestione dei loro investimenti di marketing. E una minore dipendenza dallo stack di Google è una buona cosa per tutti».

Mathieu Roche, CEO e Co-Founder di ID5

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