Il Grande Fratello del web sta finendo. Affermazione coraggiosa, ma piuttosto realistica. Ormai la vita patinata degli influencer interessa sempre meno e sui social i più giovani hanno preso una strada completamente diversa. Qualcosa si è rotto nel rapporto tra giovani e social media. O meglio: si è trasformato.
La Gen Z non ha abbandonato Instagram, TikTok o Snapchat, ma sta cambiando il modo di utilizzarli: meno post, meno esposizione pubblica, profili sempre più vuoti o minimal. Una tendenza che ha implicazioni profonde per chi lavora nel marketing e nella comunicazione.
I numeri: meno post, più consumo
Secondo i dati Gallup, oltre il 60% degli utenti tra i 18 e i 29 anni dichiara di usare i social principalmente per “guardare contenuti”, non per pubblicarli. La percentuale scende sotto il 40% tra le fasce più adulte, che risultano ancora molto attive. Non a caso basta scorrere la propria rubrica di Whatsapp per accorgersi che sono i boomer gli unici a usare le Stories.
Uno studio pubblicato sul National Library of Medicine (fonte) conferma il dato: gli adolescenti e i giovani adulti trascorrono in media oltre 3 ore al giorno sui social, ma con una prevalenza di comportamento passivo (scroll, visualizzazione, like) rispetto alla creazione di contenuti. In poche parole: la presenza non diminuisce, diminuisce l’esposizione.
La pressione del giudizio e l’effetto algoritmo
Instagram nasce come piattaforma visuale aspirazionale, ma oggi è percepito dai più giovani come uno spazio ad alta pressione. Un articolo molto interessante del Corriere della Sera ci spiega l’esposizione costante al confronto visivo e al giudizio pubblico contribuisce ad ansia, insicurezza e autocensura, soprattutto tra i più giovani.
A questo si aggiunge il ruolo dell’algoritmo: ogni post è una performance. Like, commenti, reach diventano metriche di valore personale, non solo di visibilità. Il risultato è una maggiore attenzione a non postare, piuttosto che a postare male.
Il paradosso generazionale
Un dato interessante emerge confrontando le generazioni. Una ricerca comparativa pubblicata su PMC mostra che la Gen Z utilizza i social più dei boomer in termini di tempo, ma con finalità completamente diverse: informazione, intrattenimento, osservazione.
Le generazioni precedenti hanno usato i social come diario pubblico e strumento di auto-narrazione. Molti continuano a farlo ancora oggi. I giovani, invece, tendono a spostare la propria identità digitale su spazi meno visibili: Stories, DM, gruppi chiusi, canali broadcast. Non è un caso che su forum e media online si parli sempre più spesso di “fine dell’era del posting”. Zai.net lo sintetizza in modo provocatorio: “postare è da boomer”.
Cosa cambia per i brand
Per chi lavora nel marketing, questo scenario impone un cambio di mentalità. Se i feed diventano silenziosi, l’attenzione si sposta altrove. Oltre il 70% dei giovani under 30 preferisce contenuti autentici e informativi rispetto a messaggi apertamente promozionali.
Questo significa:
- meno comunicazione “da vetrina”
- più contenuti utili, rilevanti, condivisibili anche senza esporsi
- più attenzione a formati effimeri e conversazionali
- più centralità della relazione rispetto alla reach
Non è disinteresse, è maturità digitale
La Gen Z non sta rifiutando i social. Sta rifiutando l’obbligo di mostrarsi. Per i brand, non è una minaccia ma un’opportunità: costruire fiducia, valore e dialogo in un contesto dove l’attenzione è più selettiva e la visibilità va meritata. I social non sono più una vetrina, ma un luogo dove costruire un dialogo. E’ arrivato il momento di ascoltare prima di parlare. Per molti influencer sarà un compito molto arduo.