Negli ultimi mesi si è parlato molto degli AI companion, chatbot conversazionali progettati non solo per rispondere, ma per ascoltare ed emozionare. Non più assistenti funzionali, ma veri e propri compagni emotivi digitali. Il fenomeno sta esplodendo nel tech, ma sta già influenzando - e lo farà sempre di più - il modo in cui comunichiamo e costruiamo valore di marca.
Ecco perché chi lavora nel marketing dovrebbe iniziare a osservare con attenzione questa evoluzione. Perché non si tratta solo di un trend: è un nuovo paradigma relazionale.
Un mercato da miliardi e un pubblico già coinvolto
Secondo Grand View Research, il mercato globale degli AI companion ha raggiunto i 6,6 miliardi di dollari nel 2024 e si prevede possa superare i 30 miliardi entro il 2030. Oltre il 30% dei giovani tra i 16 e i 35 anni ha già parlato almeno una volta con un AI companion.
E il 12% dichiara di aver sviluppato una forma di legame affettivo.
La domanda, per chi si occupa di comunicazione, è semplice: cosa significa questo tipo di coinvolgimento? Siamo di fronte a un’interazione completamente nuova, più profonda, più intima, senza intermediazioni umane. E questa dinamica, se compresa, può rivoluzionare anche il modo in cui i brand costruiscono le proprie narrazioni.
Da customer care a brand experience
Prova a immaginare un assistente AI che non solo ti aiuta con un ordine, ma ti conosce, ti ascolta, ti chiama per nome, ti rassicura. Lo fanno già Replika, Character.ai e più di recente la nuova versione di Grok lanciata da xAI, che propone avatar digitali con tono affettivo ed empatico.
Se l’AI è in grado di mantenere viva la relazione, il concetto stesso di customer journey cambia. Non è più solo “inbound”, ma diventa relazionale, continua, emotiva. Nel marketing si parla spesso di “umanizzare il brand”. Gli AI companion, paradossalmente, sono una forma estrema di questa umanizzazione - ma artificiale.
Musica, storytelling, contenuti: lAI scrive anche (troppo?) bene
Un altro aspetto in rapida evoluzione è la capacità dell’AI di produrre contenuti creativi: testi, copy, musica, persino sceneggiature. Sta già accadendo. Si producono canzoni intere generate da modelli linguistici, con polemiche nel mondo degli autori, simili a quelle che scoppiarono anni fa con l’autotune.
È una linea sottile tra automazione creativa e perdita dell’autenticità, ma è anche una nuova opportunità per brand e content creator. L’AI può essere co-autore, partner creativo, generatore di idee, se usata con consapevolezza. Nel marketing questo significa produrre più contenuti, più rapidamente, ma senza rinunciare alla coerenza emotiva del brand.
Empatia simulata: un rischio o una leva?
Il punto più delicato resta l’empatia simulata. L’AI sa riconoscere tono, contesto, emozione. Sa “sembrare” umana. Ma non lo è. E qui si apre una riflessione etica fondamentale per chi fa marketing: possiamo costruire fiducia e relazione con una tecnologia che non prova emozioni. ma le simula alla perfezione? È lo stesso dilemma che affronteremo con i voicebot empatici, con le adv conversazionali, con i modelli AI che vendono emozioni più che prodotti. Il rischio è la manipolazione emotiva. L’opportunità è la personalizzazione profonda. Serve equilibrio. E servono nuove competenze.
Cosa devono fare i marketer da qui in avanti?
Fondamentale studiare il fenomeno: gli AI companion oggi sono usati per intrattenimento e affetto, ma domani saranno parte dei touchpoint brand-consumer. Sperimentare con responsabilità: testare esperienze conversazionali emotive, ma trasparenti. Prepararsi a un nuovo tipo di loyalty: l’utente si lega a chi lo ascolta. Anche se è un algoritmo. Creare contenuti autentici, anche se generati in parte da AI. L’intelligenza artificiale deve essere un amplificatore, non un sostituto.
Gli AI companion non sono un hype passeggero. Sono il segnale di una trasformazione più profonda: le persone vogliono essere ascoltate, comprese, seguite, anche nel digitale. Ecco perché il futuro del marketing non sarà solo automation, ma relazione simulata ma credibile, empatia costruita, ascolto potenziato.
La domanda chiave è: qual è la vera sfida? Non chiediamoci quanto sia “umana” l’AI.
Domandiamoci se i brand sapranno essere abbastanza autentici da meritarsi quella relazione. Trasparenza. Ecco il segreto.