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15/12/2021
di Valerio Mariani, Italy Mktg & Comm. Consultant di Tradedoubler

10 cose da sapere sul programmatic advertising (con TD Engage)

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Nella sezione "opinioni", Engage ospita articoli di approfondimento sui temi caldi della pubblicità online scritti da professionisti dell'industria dell'advertising. In questo contributo, Valerio Mariani di Tradedoubler sottolinea le differenze tra il media buying tradizionale e quello automatizzato, evidenziando 10 cose che non tutti sanno sul programmatic advertising.


Il programmatic advertising è il presente dell’investimento pubblicitario digitale. Il 2020 lo ricorderemo (anche) come l’anno in cui la spesa in pubblicità digitale ha superato gli investimenti tradizionali. Secondo i dati di eMarketer, gli investimenti totali in pubblicità digitale negli Stati Uniti hanno raggiunto i 130 miliardi di dollari, per una quota del 54,2% sul totale.

Nonostante il programmatic rappresenti la fetta più grande della torta – circa l’85% del totale, in crescita prevista fino all’87,5% entro il 2021 - i direct media buying continuano a resistere.

Il motivo lo sappiamo: comprare gli spazi digitali da una concessionaria è una forma di garanzia. L’inserzionista sa dove finirà il suo investimento e avrà la certezza che i propri contenuti andranno su siti di qualità e coerenti con il target. Lo stesso vantaggio in termini di qualità si presenta anche ai publisher, che potranno controllare gli annunci in ogni momento.

Tradedoubler crede, invece, che un’attività programmatic non possa mancare nel carniere di una buona strategia di digital marketing. Ma, coerentemente con la sua filosofia, propone ai propri clienti di farlo bene! Ciò significa sfruttare la piattaforma TD Engage che ha come punto di forza il pieno controllo dei clienti su analytics e performance.

L’eterno conflitto: programmatic vs direct media

Insomma, il programmatic advertising combatte l’eterno conflitto con il direct media, ma ne esce sempre più vincente. Questo grazie a piattaforme più accurate e metodi che puntano ad affinare il modello. Storicamente il programmatic accoglie aziende di qualsiasi mercato e capacità di investimento, è anche quella la sua forza, ed è facile immaginare che gli inserzionisti continuino ad affollare i DSP o che, addirittura, siano diventati così smaliziati da immaginare un programmatic in-house.

Dunque, a uso e consumo dei manager aziendali che hanno ancora qualche dubbio sul come siano spesi i soldi in pubblicità digitale, vediamo 10 cose che non tutti sanno sul programmatic advertising.

Si definisce programmatic advertising l'acquisto tramite demand side platform (DSP) di spazi pubblicitari messi a disposizione dai vari editori tramite le sell side platform (o "supply side platform", SSP) su base dato.

1. Che differenza c’è tra programmatic advertising e real-time bidding?

Cominciamo con un distinguo. Il programmatic advertising è una tecnologia di automazione per la compravendita di annunci pubblicitari digitali. Il RTB è il protocollo su cui si basa il programmatic. Il processo RTB inizia non appena un utente visita la pagina del sito di un publisher. A quel punto, in maniera istantanea, viene inviata una richiesta di visualizzazione di un annuncio alla SSP (supply side platform). La SSP analizza le informazioni sull’utente in suo possesso, le passa al servizio di Ad Exchange che le passa a sua volta alla DSP. È qui che entra in gioco l’RTB, attraverso cui si genera l’asta e l’annuncio da rendere visibile all’utente.

2. Qual è il ruolo di DSP e DMP?

La DSP è lo strumento operativo principale del programmatic advertising. Attraverso la piattaforma DSP, le agenzie e gli inserzionisti (advertiser) accedono all’Ad Exchange. Attraverso le DSP gli advertiser definiscono i principali criteri di pianificazione della campagna.

La Data Management Platform è un hub di tracciamento e analisi dove vengono raccolte le informazione reperibili online e offline, clusterizzate in segmenti anonimizzati ai fini di attivazione esaustivi di determinate caratteristiche dell'utenza.

3. Google Ads è una piattaforma programmatic?

Google Ads è un piattaforma che basa l'attività di buying su base asta derivato da un attività di bidding che lavora solo sulle properties Google (YT, Google, GDN, Gmail). Ciò limita il campo d’azione e anche la quantità di dati in possesso. Per contro, esistono le DSP “white label” che forniscono l’accesso a diversi SSP e possono contare su più dati e più scelta di piattaforme di pubblicazione degli ads.

4. Da dove si inizia per fare programmatic advertising?

La prima cosa da fare per un’azienda interessata al programmatic è costruirsi un account in una DSP self service. Generalmente, si tratta di spendere al massimo un’ora di tempo per fare il set up del proprio profilo nella piattaforma DSP e costruire la prima campagna. Ma non finisce qui.

5. Conviene costruirsi un programmatic in casa?

Il programmatic in casa, ovvero un fai-da-te totale che bypassa la media agency cresce di interesse. Ma, se, da una parte, si diventa totalmente indipendenti nella gestione delle proprie campagne digitali, dall’altra, nonostante il modello sia teoricamente semplice, si rischia di rimpiangere l’apporto degli specialisti di un’agenzia. Dalla definizione della giusta campagna alla scelta del target e alla ottimizzazione della stessa, le problematiche che si incontrano possono essere diverse. Inoltre, è da mettere in preventivo l’assunzione di risorse specializzate perché il programmatic advertising non si fa con la mano sinistra.

6. Qual è il minimo investimento che giustifica l’uso del programmatic?

La cifra minima da mettere a budget per gli investimenti pubblicitari dipende molto dagli obiettivi che si vogliono raggiungere. In ogni caso, se si ambisce a un ROI soddisfacente è necessario ragionare nell’ordine delle migliaia di euro: 10 mila euro è un buon valore per ottenere dei risultati.

7. Come fare in modo che un’asta si concluda positivamente?

Prima di lanciare una campagna, si deve essere certi che il modello RTB funzioni bene. È importante settare bene il flusso di comunicazione con le SSP ed eseguire dei test preliminari per individuare il valore d’asta più giusto. Fondamentale, dunque, essere in grado di interpretare in tempo reale i dati sull’attività. Delle tre fasi principali nella gestione di una campagna (preparazione, lancio e ottimizzazione) sicuramente l’ultima è la più importante.  

8. Qual è il modello d’acquisto più comune nel programmatic?

La scelta è tra CPM, CPC e CPA. La risposta alla domanda è: il CPM. Le aste secondo il protocollo RTB sono settate esclusivamente sul CPM. Ciò significa, per esempio, che se l’advertiser setta una campagna CPC, l’algoritmo trasforma il valore economico in CPM (CPM=CTRxCPCx1000), dove il CTR previsto è una stima automatica.  

9. Il blocco dei cookies di terze parti nei browser provoca problemi alle DMP?

L’esistenza delle DMP è messa in discussione dalle piattaforme di data intelligence sempre più diffuse tra le aziende. Ciò determinerà una reazione che porterà a migliorare i loro algoritmi di raccolta dati, superando la questione del blocco dei cookies. Si sta già ragionando con successo sul come ottenere informazioni dagli utenti indipendentemente dai cookies. Per esempio, si potrebbe ragionare meglio su dati locali, come le pagine visitate e non sui cookies per realizzare delle nicchie di target anonime con buone probabilità di successo. Inoltre, si stanno già utilizzando modelli predittivi che, grazie al machine learning, forniscono previsioni di acquisto in base a molte più informazioni che la sola visita a un sito di ecommerce, per esempio.

10. E con il GDPR come la mettiamo?

Se si parla di raccolta dati degli utenti, è pronto lo spettro del GDPR. Il programmatic in realtà segue in maniera puntuale la privacy policy. Dai tracciamenti alle profilazione, sino all'analisi dei dati ai fini di clusterizzazione e attivazione, la compliancy richiesta dalle norme vigenti viene sempre rispettata.

Non è interessante, ai fini della profilazione, avere nome e cognome degli utenti, così come avere molti dati sensibili. Ciò che è importante è individuare un comportamento in tempo reale, per collocare un utente anonimo all’interno di un cluster dinamico di persone che hanno mostrato gli stessi interessi durante una navigazione. Per questo ciò a cui lavorano di più le DMP riguarda la scrematura degli archivi, al grido di “meno target, più qualità”. Ovvero, meno profili a cui presentare le inserzioni ma più precisi e, quindi, più efficaci.

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