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27/06/2017

Zero condition: ritorno alle origini

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It is only by adding Personal Context that you get Closer to real Meaning”. Inizio la mia riflessione partendo da questa citazione, tratta dal libro “Dear Data” di Giorgia Lupi e Stephanie Posavec. L’anno scorso è venuta mancare una delle più controverse rockstar della storia della musica: il 10 gennaio 2016 moriva David Bowie. Un episodio che ha lasciato un grande vuoto, ma anche una potente eredità che ognuno di noi ha raccolto a modo suo. Un lascito importante che ha portato il mondo intero a interessarsi ancora una volta a una delle icone più influenti della nostra epoca. Dopo un anno esatto tocca a Zygmunt Bauman, studioso della “società liquida”, la teoria sociologica secondo la quale l’esperienza individuale e le relazioni sociali sono segnate da caratteristiche e strutture che si decompongono e ricompongono rapidamente, in modo incerto, fluido e volatile. Una concezione che parla anche dell’abbattimento di numerosi confini, fisici, morali, spirituali e gerarchici. Oggi tocca all’umanità intera riempire quel vuoto scaturito dalla società fluida, non solo nella teoria, ma anche nella pratica. Tralasciando disquisizioni politiche e geografiche, voglio parlarvi di un altro libro molto importante intitolato “You are here” e pubblicato dalla Princeton Architectural Press di New York nel 2004. Si tratta di una raccolta di mappe immaginarie provenienti da tutto il mondo e appartenenti a tutte le epoche. Esercizi di stile, episodi isolati, follie artistiche, finalmente raggruppate con un grande senso di ispirazione. Un testo diventato subito un faro per quanto concerne l’argomento ‘infografiche’. Oggi i media digitali ci permettono di creare e condividere con grandissima velocità qualsiasi tipo di contenuto. Ma questa rapidità cosa ha scaturito? Di questo argomento se n’è parlato anche durante l’ultima Kerning Conference di Faenza, dove Dan Rhatigan è intervenuto così: “The evolution of some publications as their communities and markets shifted over the years from the underground to the increasingly mainstream”. In quest’ottica scopriamo che il mainstream è alla ricerca di nuove ispirazioni. Per accelerare il meccanismo, stiamo assistendo a un azzeramento quasi totale. Un ritorno quindi alla condizione zero: zero soldi, zero connessioni, zero colori, zero digitale, zero mouse o tavolette grafiche. Tutto ciò che rimane è il talento, la professionalità vera e la capacità di rappresentazione. Perché quando un’idea funziona, non contano i soldi o i mezzi a disposizione. Serve un nuovo talento, quello di voler ripartire da zero, avendo fatto spazio nella nostra vita e avendo buttato tutta quella cianfrusaglia raccolta da Pinterest e foto inutili tratte da Instagram. Occorre un nuovo desiderio di vedere le cose lontane dalla confusione. In Pil associati abbiamo raccolto e interpretato da diversi punti di vista quella che apparentemente è solo una nuova tendenza creativa di comunicazione, una capacità di raccontare le vere idee. Perché se un’idea non è buona non saprai rappresentarla o scarabocchiarla sul tovagliolo del ristorante, non sarai in grado di raccontarla a voce al telefono (rigorosamente dall’ultima cabina telefonica in circolazione). Cos’è una buona idea? Quella cosa che soddisfa il bisogno primario degli esseri umani, che si traduce nell’atto di comunicare. Tutto ciò ci porta alla continua ricerca della connessione tra l’essenza e la verità. Oggi più che mai si tenta di recuperare gli stessi mezzi, le stesse connessioni di un tempo in cui l’unica cosa che contava veramente era la conoscenza e la professionalità delle persone. Una tabula rasa, che si sta rivelando incredibilmente interessante soprattutto per la capacità di amplificare il proprio messaggio - puro e netto - attraverso la cassa di risonanza dei nuovi media e dei social network. Dopo anni in cui i loghi dei brand si sono arricchiti di colori e sfumature, molto spesso dall’anima tridimensionale, grazie alle possibilità del digitale oggi notiamo un grande ritorno all’essenziale e alla pulizia. Un processo cominciato nella nostra agenzia nel 2015 e che si è tradotto in una pubblicazione anonima chiamata - The Stone Magazine - in cui le molteplici connessioni ricevute e realizzate in un anno (non tradotte in progetti commerciali) sono state raccolte e poi divulgate come esercizio stilistico. La veste grafica e la produzione, di altissima qualità, hanno definito il minimalismo come il canovaccio dei contenuti. Una forte tendenza monocromatica è stata impiegata per descrivere le attività delle nostre singole unit: un approccio che ricorda le “competenze” dei vecchi grafici e la “velocità” di fruizione del digitale. Un approccio che per noi ha avuto declinazioni tanto nell’online, quanto nell’offline.   Ecco alcuni riferimenti per approfondire l’argomento: - http://justcreative.com/2017/01/01/2017-logo-design-trends-forecast/ - Giorgia Lupi, Stefanie Posavec, Dear Data. Particular Books, 2016. - Katharine Harmon, Personal Geographies and Other Maps of the Imagination. Princeton Architectural Press, 2004. - Jim Williams, Type Matters! Simple tips for everyday typography. Merrell Publishers Limited, 2012. - Zeitung Newspaper, Den Haag Underware, 2017. - Pink Mince, PinkMince.com, 2016 - Kuna Alfredo Zine, Miami 2017 - Back Office Magazine, Fork Editions & EditionsB42, 2017. - www.pilassociati.it, pil associati, 2017 - The Stone Magazine, pil associati, 2015 Manuela Ilari