di Alessandra La Rosa

Google e il framework di IAB per il GDPR, ecco gli ultimi sviluppi

Big G, a quattro mesi di distanza dalle iniziali scadenze, tarda ancora ad implementare il Transparency and Consent Framework di IAB. Ma, in sordina, qualcosa si sta muovendo

Da un po' di tempo non si sentiva più parlare della questione dell'implementazione da parte di Google del Transparency and Consent Framework di IAB per il GDPR. A settembre, con un mese di ritardo rispetto alle scadenze prefissate, Big G non aveva ancora adottato il framework, la sua soluzione per la gestione dei consensi Funding Choices non era ancora una CMP registrata nelle liste di IAB, e dunque il consenso da lei raccolto non era libero di essere condiviso con altre piattaforme compatibili al Framework. Tre mesi dopo, tutto è ancora com'è, ma sembrerebbe che, in sordina, qualcosa si stia muovendo. Secondo quanto riporta Digiday, Google si sarebbe riunita questa settimana a Londra, insieme ad alcuni grossi editori britannici e tedeschi, agenzie e altri fornitori di ad tech, per discutere e giungere a un compromesso su con quali motivazioni i "data processor" possono utilizzare i dati degli utenti degli editori quando si tratta di erogare annunci personalizzati. L'incontro sarebbe stato il culmine di qualcosa come 18 conference call e un precedente meeting con il gruppo di lavoro del Purposes Committee dello IAB Transparency and Consent framework. Nel corso di tutte queste varie discussioni, Google e gli altri fornitori tecnologici hanno sottolineato l'esigenza di una minore granularità di motivazioni e di un'unica motivazione per quelle "categorie" che sono profondamente legate tra loro, come ad esempio l'erogazione di un annuncio e la sua misurazione. Secondo Google, in particolare, separare motivazioni di utilizzo dei dati che sono intrinsecamente legate tra loro potrebbe portare a interpretazioni confuse da parte degli utenti a cui viene chiesto il consenso. Dall'altra parte, però, tradizionalmente gli editori sono stati invece più propensi ad una maggiore granularità, con l'obiettivo di avere un maggiore controllo su come i vari partner della supply chain utilizzano le informazioni provenienti dai loro siti. Alla fine, sembrerebbe che il lato di Google e dei tech vendor si sia rivelato d'accordo a un compromesso per una maggiore granularità. Da quanto scrive il sito americano, 12 "motivazioni" sarebbero state accettate in occasione di questo incontro, e al centro delle discussioni ci sarebbe stato anche il modo di considerare e trattare i dati di localizzazione. Il prossimo passo sarà quello di concordare sul linguaggio da utilizzare per trasmettere queste motivazioni agli utenti; e tutto questo dovrà poi essere ratificato dal Purposes Committee dello IAB Transparency and Consent framework, di cui peraltro fanno parte molte delle società che hanno partecipato ai tavoli di lavoro. Proprio la necessità di trovare accordi comuni sulle motivazioni per l'uso dei dati sarebbe stata una delle cause del ritardo dell'adozione del framework IAB da parte di Google, insieme ad alcune specifiche tecniche riguardanti l'integrazione del "legittimo interesse" nel framework. Adesso, man mano che i lavori vanno avanti, ci si aspetta che Big G compia l'attesa mossa, ufficializzando il lancio di una CMP registrata nelle liste IAB.

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