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26/06/2020
di Vincenzo Stellone

Comunicazione sanitaria e digitale: c’è ancora da fare

Cosa ha insegnato il Coronavirus a chi è chiamato a informare su temi delicati, mentre si diffonde l’uso dei canali online e dei social per aggiornarsi? Lo chiediamo a Franco Balestrieri di GVM Care & Research

Enti, istituzioni e strutture ospedaliere - nel corso del lockdown - hanno dovuto non solo fronteggiare in prima linea il diffondersi della pandemia di Coronavirus, ma anche comunicare le loro attività, in un contesto su cui pesava non solo l’urgenza di agire per arginare l’emergenza sanitaria, ma anche l’infodemia. L’infodemia è la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni non sempre verificate accuratamente, che nel migliore dei casi rende difficile cogliere correttamente gli eventi nella loro complessità e nel peggiore confonde totalmente il fruitore. Un fenomeno che durante il lockdown ha preoccupato la stessa OMS considerato l’utilizzo maniacale che i cittadini hanno fatto dei social network, scelti come canale di informazione principale (per i più giovani spesso il solo) passando da 1,5 a quasi 4 ore di utilizzo al giorno. Come comunicare dunque in questa situazione? Lo abbiamo chiesto a Franco Balestrieri, direttore marketing e comunicazione di GVM Care & Research, uno tra i primi Gruppi ospedalieri italiani, con oltre 45 strutture di cui 30 in Italia collocate in 10 diverse Regioni e molte delle quali accreditate con il SSN, ultimamente elogiate da Beatrice Lomaglio su Agenda Digitale per la comunicazione chiara, trasparente, puntuale e autorevole. Dott. Balestrieri, come la pandemia ha e sta impattando il marketing e la comunicazione sanitaria? La prima fase, come in tutti gli ambiti, è stata segnata dall’imprevedibilità. Uno scenario davanti al quale i piani di crisis communication, comprensibilmente non tarati su questa specifica criticità, hanno contribuito a creare un cuscinetto temporale utile a gestirne le prime fasi dandoci così modo di lavorare all’individuazione di soluzioni mirate alle nuove specifiche esigenze, in continua evoluzione. Esigenze rese ancora più articolate per chi, come noi, ha un’ampia estensione territoriale caratterizzata dalle molteplici dinamiche delle amministrazioni locali. La fase post lockdown sta richiedendo, invece, a noi comunicatori nella sanità, di gestire situazioni di grande tensione sociale quotidiana sugli innumerevoli canali aziendali di comunicazione. La sfida, ora, è quella di essere ancora più coerenti, esaustivi ma rapidi, pur prendendosi il tempo necessario per spiegare ogni informazione così da aiutare a risolvere l’eventuale problema a chi ci contatta, senza trascurare la necessità di essere empatici per tranquillizzare chi chiede assistenza. Questo vale in particolare nelle comunicazioni sui canali digitali dove è più facile farsi prendere dall’impeto della risposta istantanea, generando incomprensioni o approssimazioni. I social media sono diventati fonte di informazione per molte persone. Che ruolo rivestiranno da ora in poi nella comunicazione sanitaria? Prescindendo dal ruolo informativo, che di fatto non rivestono, nella comunicazione sanitaria i social sono e saranno sempre più un terreno di sperimentazione. Se da un lato è vero che ogni social ha un pubblico specifico, è anche vero che questo muta col tempo e dinamicamente. Nel nostro settore le variabili sono ancora di più ampie poiché il nostro target, corrispondente potenzialmente con la quasi totalità della popolazione, può essere più o meno vicino alle tematiche sanitarie in base a necessità, cultura personale o professione, il che richiede costante monitoraggio e studio analitico per realizzare una comunicazione davvero efficace e capillare. I social, anche nella sanità, giocano sempre di più da amplificatori di contatti. Aspetto che per essere efficace richiede da un lato l’applicazione corretta di specifiche metriche per specifici obiettivi, dall’altro impone di non dimenticare l’importanza, in particolare per noi, di una strategia “drive to website”, per portare traffico sul sito aziendale. I social avranno, infine, un ruolo sempre più centrale sia nelle attività di promozione che in quelle di verifica. Se negli ultimi anni alcune tipologie di medici come ad esempio una parte di chirurghi plastici e dentisti hanno cominciato ad utilizzare i social per promuoversi (spesso in maniera eccessivamente commerciale tanto da portare all’attuazione di un decreto a maggiore tutela dei pazienti), gli utenti utilizzano sempre più frequentemente i social - insieme ai motori di ricerca - per “verificare la competenza dei medici” a cui sono interessati, sottoponendoli a un controllo serrato, anche tramite fonti non attendibili, e rendendoli potenzialmente vittime, in alcuni casi, di quello che in gergo tecnico è chiamato “cyber mobbing” quando non soddisfatti. I comunicatori sanitari dovranno pertanto tenere conto di tale evoluzione, facilitando con il loro lavoro un processo di convergenza tra i due poli. Quali competenze e professionalità richiede al mercato il vostro settore per gestire al meglio le recenti complessità del mondo digitale? “Se credi che un professionista ti costi troppo è perché non sai quanto ti costerà un incompetente”. Si tratta di un motto molto veritiero che ci ricorda come, specialmente nei contesti digitali, non ci si possa improvvisare. È purtroppo ancora oggi diffusa la convinzione che se una persona usa una piattaforma social per la vita privata o per hobby sia in grado di gestirla per una azienda, o se una persona ad esempio programma siti sia in grado di sviluppare una strategia di comunicazione digitale, perché sempre di digitale si tratta. Questo è ancora più vero nell’ambito dell’adv online dove a chi supporta la comunicazione sanitaria dall’esterno non è richiesta tanto una conoscenza diretta approfondita dei contenuti medici - di competenza di chi ne ha la responsabilità nel merito - ma risulta fondamentale avere un giusto grado di preparazione e sensibilità sui canali e sulle loro dinamiche. Un altro aspetto essenziale per i professionisti che vogliono lavorare nel nostro settore è comprendere come una corretta comunicazione non possa esimersi da una concreta e aperta collaborazione tra tutte le figure professionali mediche e non dell’azienda. Si tratta di un aspetto spesso trascurato ma essenziale, specialmente nel mondo sanitario in cui la distanza tra professione medica e mondo della comunicazione è ancora ampia. Analisi e verifiche sono, inoltre, sempre necessarie quanto la creatività, l’intelligenza emotiva, il plain language utilizzati per semplificare ai pazienti il complesso mondo medico ed entrare con loro in sintonia psicologica: si tratta di un altro aspetto trascurato da molti professionisti che si approcciano al nostro settore, pensando che tecnicismi, complessità e pura razionalità siano sufficienti. Che cosa ha insegnato questa pandemia alla comunicazione sanitaria? Esistono dei punti che dovrebbero essere di non ritorno, in particolare in relazione all'utilizzo delle nuove tecnologie digitali? Se è indubbio che la sanità possa trarre vantaggi nell’utilizzo dei canali digitali, perché ciò avvenga una parte del mondo medico deve modificare la sua visione nei confronti della comunicazione in generale e di quella digitale in particolare, la cui importanza è compresa a pieno ancora da pochi. È quindi necessario un processo di crescita che coinvolga insieme medici, strutture e professionisti della comunicazione, nella consapevolezza che non necessariamente ciò che è interessante o comprensibile per il personale medico lo è anche per il paziente. Considerato, poi, quanto in futuro la comunicazione online, così come la telemedicina, farà sempre più utilizzo di dati (anche in funzione dei contenuti video), colmare il divario digitale deve rimanere un tema di priorità nazionale, e non solo sanitario. Il suo impatto anche sulla salute dei cittadini è spesso totalmente sottovalutato. Ormai i pazienti, che in questo caso possiamo chiamare “clienti” si evolvono in termini di richiesta di servizi correlati di accesso e gestione molto più velocemente di quanto lo stesso settore medico e sanitario in Italia si muova, sia per burocrazia sia per “abitudine”.

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