19/11/2019
di Simone Freddi

Massimo Fontana nel trend dell’in-house con Trust&Value: «Aiutiamo le aziende a prendere il controllo del digitale»

A un anno dall’uscita da Dentsu Aegis Network, il manager torna al ruolo di imprenditore nel campo del marketing data-driven. «Il media digitale è in una fase di totale disruption»

Il nome di Massimo Fontana è strettamente legato allo sviluppo dell’advertising technology nel nostro Paese. E’ stato infatti tra i first mover in quest’ambito prima come imprenditore (CPXi, AudienceRate), e poi come manager all’interno di Dentsu Aegis Network, dove ha guidato lo sviluppo della divisione Programmatic prima a livello italiano, poi come Chief Programmatic Officer per l’area Emea. Dopo l’uscita - circa un anno fa - dal gruppo anglo-giapponese, Fontana non ha perso l’abitudine di innovare nel settore: ha infatti fondato due nuove imprese. La prima, Trust&Value (qui il sito), si inserisce nel trend caldissimo dell’in housing delle competenze nella comunicazione online. La seconda, Cognitive Advertising Solutions”, applica l’intelligenza artificiale al video online per aumentarne visibilità e rilevanza. «Il media online è in un momento di totale disruption – ci ha detto Fontana, che abbiamo incontrato per fare il punto su queste novità - e questo apre molte opportunità». Massimo, circa un anno fa sei uscito da DAN e ora stai lanciando Trust&Value: di cosa si occupa? In sintesi, quello che facciamo è aiutare le aziende a sviluppare le competenze umane, i processi e la tecnologia necessari per prendere il controllo delle proprie attività di comunicazione digitale, sfruttandone l’intero potenziale. Che è molto ampio: oggi i clienti hanno capito che, con il data-driven, il digital può essere non solo uno strumento di business e di comunicazione, ma anche un canale ideale per fare, per esempio, R&D in modo efficiente o gestire in modo moderno il product portfolio management. In breve, il digitale entra in tutto ciò che riguarda la competenza sul consumatore, ossia l’asset più importante delle aziende. Parliamo ovviamente di digitale fatto in modo olistico, senza silos tra i mezzi, con il consumatore al centro: è quello che si chiama “Mass one-to-one marketing” e implica una profonda trasformazione sia all’interno delle aziende, sia nel rapporto con i propri partner esterni, tra cui le agenzie media. Cosa c’è che non va nell’attuale rapporto cliente-agenzia media? Il media online è in un momento di totale disruption: è una rivoluzione, e come tutte le rivoluzioni deve superare l’iniziale confusione, un’abbondante disinformazione e la resistenza di modelli operativi obsoleti. Sicuramente, negli ultimi tre o quattro anni si è incrinato il rapporto di “trust” tra clienti e agenzie: un rapporto per certi versi paradossale, in cui le agenzie lavorano per i clienti, ma gran parte dei loro ricavi vengono dalla supply side. Dal canto suo, lo stesso cliente ha avallato questo modello, imponendo fee sempre più ridotte per i servizi delle agenzie. Oggi però che il ruolo del digitale sta diventando chiaro a tutti, le aziende non sono più disposte a tollerare opacità e scarsa conoscenza di ciò che stanno facendo, e manifestano l’esigenza di portarsi “in casa” una serie di competenze. Dunque, il modello che proponi è alternativo a quello delle agenzie media? Assolutamente no: io non ritengo che l’in-house del digitale sia un presidio degli indipendenti o degli improvvisati, ma in definitiva delle agenzie. Solo che non hanno ancora capito come farlo, e questo al momento apre spazi importanti per aziende come Trust&Value, o altre che si stanno affermando sul mercato. Il cambiamento è cominciato, guidato dagli stessi grandi clienti, che negli ultimi pitch hanno incluso dei capitoli chiedendo specificamente alle agenzie l’operating model per l’in-house. Le agenzie stesse hanno cominciato a trasformarsi, ma per varie ragioni la velocità di trasformazione è ridotta rispetto alle esigenze. Con Trust&Value applichiamo un modello operativo mutuato dal mondo del project financing, che segue lo schema built, operate and transfer. Il “transfer” vorrei che fosse nelle agenzie. Perché se da una parte le aziende devono portarsi a casa la relazione con tecnologie, la conoscenza del consumatore, la gestione dei dati, l’interconnessione con il proprio marketing, il media buying in definitiva dev’essere gestito dalle agenzie, che nascono per quello che hanno alcune competenze che non sono sostituibili. Puoi citarmi qualche cliente con cui lavori? Tra i nostri primi clienti mi piace citare Coca-Cola, che si è rivolta a noi per portarsi in casa la consumer understanding, in altre parole una DMP, e per sviluppare un nuovo modo di lavorare con l’agenzia media. E’ un progetto che abbiamo avviato in Italia e che ora è stato esteso a cinque mercati. Stiamo lavorando con varie altre aziende di prima grandezza e chiuderemo questi primi mesi di attività con un Ebitda importante, superiore al mezzo milione di euro, a dimostrazione che l’intuizione era corretta. Un’altra iniziativa di cui sei accreditato come founder è Cognitive Advertising Solutions. Di cosa si tratta? Amo dire ai clienti che la comunicazione online non dev’essere solo viewable, ma “viewable, visible e relevant”, cosa che a mio avviso non sempre accade, specie nell’ambito del video online che oggi è decisamente inflazionato. Cognitive Advertising Solutions è nata come un laboratorio di ricerca per realizzare questa promessa. Si basa su un motore di intelligenza artificiale che è in grado di analizzare da un lato le caratteristiche dell’audience, dall’altro quelle del contesto. A questo, abbiamo aggiunto una vastacontent library che ci consente di proporre a un utente un contenuto video in linea sia con ciò che sta cercando online, sia con il contesto online in cui si trova. La garanzia di reale coinvolgimento è poi data dal fatto che lo streaming del contenuto è attivato dall’utente stesso, in pratica un video on demand. Dopo averlo testato su alcuni clienti, siamo attualmente in trattativa con un gruppo attivo nel media a cui dovremmo, a breve, cedere la società.

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