10/04/2014
di Teresa Nappi

Carlo Borriello: «We believe in native adv»

ArtAttack ha individuato da tempo in questa forma di comunicazione la risposta più adeguata ai cambiamenti in atto nella pubblicità. Una convinzione che ha portato il team a fare di questa espressione il proprio mantra e modello

Cresce l’attenzione di aziende, brand ed editori verso una forma di comunicazione in grado di coinvolgere l’utente fornendogli informazioni e contenuti di valore. E si sviluppano rapidamente piattaforme e tecnologie dedicate. Parliamo del native advertising, forma evoluta e più raffinata – seppur trasparente nella sua essenza – dei pubbliredazionali. Proprio sulla scorta di questa affinità, è difficile dire che il native advertising sia una novità in assoluto. Quella che è nuova, invece, è l’attenzione che aziende e brand stanno dimostrando verso questa forma di comunicazione che non opera un “push” spinto verso l’utente, imponendogli un messaggio promozionale, ma lo attira fornendogli qualcosa di utile, con l’obiettivo di coinvolgerlo e gettare le basi di una conversazione che si sviluppi nel tempo. Le aspettative rispetto a questa forma di adv sono decisamente alte e l’anno in corso dovrebbe vedere il native conquistarsi un ruolo di primo piano nel panorama della comunicazione digitale. Proprio di questo e delle caratteristiche distintive del native abbiamo discusso con alcuni degli operatori più attivi su questo fronte. La parola a Carlo Borriello, presidente ArtAttack e Xister. Il servizio completo è pubblicato su Engage mag #10-11.


Scommettiamo che tra sei mesi il Native advertising sarà compreso e culturalmente assorbito pienamente anche dal nostro mercato? Questa è la convinzione di Carlo Borriello, presidente ArtAttack e Xister, che parla di questa nuova forma di comunicazione come di una delle risposte più calzanti alla domanda di cambiamento rivolta dalla stessa utenza al mondo pubblicitario, che nella sua accezione più tradizionale risulta «fuori moda». Una rivoluzione che ArtAttack ha ben intuito e interpretato, tanto da adeguare in modo repentino la propria offerta a quanto clienti e consumatori oggi si attendono dalla comunicazione di un prodotto o servizio. Lasciamo dunque alle sue parole il compito di raccontare una struttura che distingue sul mercato per la capacità di adeguarsi al tempo che cambia. Dottor Borriello, ci racconta brevemente ArtAttack?
«ArtAttack nasce da un’idea di tre dirigenti di Y&R nel 2000. Dalla sua creazione l’agenzia si è da subito distinta per un potente spirito innovativo: nelle forme, a partire da una originalissima sede in Trastevere, nelle modalità relazionali - interne ed esterne - e nella ricerca. Oggi, a 14 anni dalla nascita, è un’impresa indipendente, capace di coniugare quanto c'è di nuovo nel mondo della creatività e della comunicazione con quanto c'è di buono nelle possibilità date dai nuovi media. Significa avere account, creativi e technologist capaci di pensare e agire in termini globali, sia che si tratti della "nobile" ATL che del popolatissimo web, passando per eventi, guerrilla, flash mob e così via. Ma attenzione, non siamo la classica piccola agenzia che fa di tutto un po'. Ci siamo potuti permettere, grazie al nostro DNA, di crescere e formare su più generazioni un gruppo di lavoro veramente straordinario. In futuro tutte le strutture di comunicazione avranno questa conformazione. In ArtAttack è già così». Come si integra il native advertising nella vostra offerta? «I protagonisti del Native Advertising sono 3: gli editori, le aziende e l’agenzia - media o creativa -. Noi storicamente siamo abituati a fornire soluzioni creative innovative capaci di rispondere alle necessità di fare business delle aziende. L’interlocuzione per noi più naturale è quindi quella con l’azienda: a partire da un brief arriviamo alla proposta creativa e in seguito ci occupiamo della gestione completa del progetto, generalmente integrato online/offline. In questo senso le iniziative di Native Adv si inseriscono fin dalla prima presentazione e si sviluppano di solito assieme al cliente: possono riguardare il concept creativo, la redazione di contenuti di alta qualità e sempre più spesso includono la realizzazione di un contenuto video (branded content) della cui produzione ci occupiamo direttamente. Siamo inoltre in grado di lavorare a proposte di Native Advertising anche in una fase più avanzata del lavoro, magari assieme all’agenzia creativa o al centro media del cliente, e quindi eroghiamo il servizio tipico di un’agenzia media nell’identificazione delle soluzioni di pianificazione più adatte e performanti in base agli obiettivi del cliente. Abbiamo coinvolto circa 100 editori italiani in iniziative potenziali di Native Adv. Ci capita infine sempre più spesso di interloquire anche direttamente con gli editori: stiamo chiudendo un accordo di servizi Native in esclusiva con un’importante testata nazionale e presto lanceremo un prodotto dedicato in modo specifico agli editori. Penso che la nostra forza in questo segmento sia proprio quella di poter fornire un servizio a 360 gradi e di interagire con gli attuali fornitori senza andare in sovrapposizione ed anzi aggiungendo valore e competenze molto specifiche e distintive. Lo facciamo da 14 anni in comunicazione e quindi anche nel Native Adv non potevamo che avere lo stesso approccio integrato». Ma cos'è esattamente il native advertising, secondo lei? Si tratta di una novità, o è sempre esistito? «L'advertising è native per costituzione. I primi esempi di adv, come quelli presenti sui newspaper inglesi di fine 700 trattati esattamente come le altre news, sono native. Ma andando indietro mi ricordo che a Luxor tra i vari geroglifici presenti nell'antica città, ce ne erano alcuni che indicavano locali in cui mangiare e soggiornare: “Vere e proprie pubblicità del tempo” mi ha confermato il professore dell’Università del Cairo mia guida». Perché brand e aziende si stanno interessando a questo tipo di comunicazione? «Oggi quanto sostenuto dal grande David Ogilvy non vale più: è finita l'era dell'immagine. I nuovi, ma anche i più tradizionali, device impongono modalità relazionali con i brand molto diverse rispetto a qualche anno fa. L'interazione, il passaparola che diventa condivisione istantanea, la rete che è il vero e proprio universo comunicazionale degli individui, i nativi che sono ormai tutti digitali, non possono non far pensare le aziende. Il native adv è la possibilità - al momento pressoché unica nel panorama dell'advertising - di riprendere, rinnovare il discorso della pubblicità, altrimenti assolutamente fuori moda. Soprattutto di questi tempi». Secondo le vostre previsioni con quale ritmo crescerà questo mercato? «I dati dei mercati Usa e UK riguardo al Native Advertising sono particolarmente interessanti: ormai oltre il 90% degli editori offre queste modalità di pianificazione e quindi agenzie e centri media sono ben attrezzati per proporlo ai clienti, quando non sono essi stessi a chiederlo. Ecco quindi che le previsioni di crescita esponenziale da qui ai 3-4 si giustificano perfettamente. Di recente ho visto iniziative interessanti anche in Italia e devo dire che rispetto a quando abbiamo lanciato i primi servizi e le prime campagne di Native Adv la scorsa estate, molto è cambiato. Anche nella mentalità dei clienti il Native Advertising sta diventando ormai una delle opzioni al vaglio per qualunque campagna online di un certo livello. Forse gli editori sono ancora un po’ indietro. Qualcuno si è mosso, come ad esempio il Corriere della Sera, ma ancora molti non capiscono la differenza tra un pubbliredazionale e un Native Adv. Scommetto però che tra 6 mesi ci troveremo a commentare uno scenario completamente diverso».

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