• Programmatic
  • Engage conference
  • Engage Play

Valori a più voci

A cura di Sergio Amati, General Manager IAB Italia

Storie di valori per il nuovo mondo digitale

06/07/2020
di Sergio Amati

Credito d'imposta sul loro futuro

La ripresa passa attraverso interventi “strutturali”, ma il futuro delle prossime generazioni non sembra tra le priorità in agenda. Una miopia inaccettabile a cui tutti dobbiamo ribellarci. Un tetto fotovoltaico non può essere più importante di una borsa di studio o di un corso di formazione. Ne parliamo oggi a “valori a più voci”

Oggi ho fatto una simulazione del costo per installare un impianto fotovoltaico a casa mia. Spenderei circa ottomila euro. Con il credito d’imposta al 110%, che potrei anche cedere all’impresa che mi realizzerebbe l’opera, questo intervento non mi costerebbe nulla. Un bel vantaggio, che rientra tra le iniziative del governo legate a una delle keyword tormentone della cosiddetta “ripartenza”: la sostenibilità. Siamo più green, risparmiamo e contribuiamo alla salvezza del pianeta. Mio figlio di 13 anni non è andato a scuola per 4 mesi, ha potuto continuare regolarmente a studiare con la didattica a distanza ma milioni di suoi coetanei non ci sono riusciti, per l’arretratezza della maggioranza del nostro sistema scolastico. Io abito a Como e a pochi chilometri da me, in Svizzera, le scuole sono riaperte da inizio maggio. Qui ci stiamo ancora arrovellando su come riaprire a settembre. Che nesso c’è tra un tetto fotovoltaico e una scuola media? Il nostro pianeta è popolato da persone, e la nostra responsabilità è di dare alle persone che verranno dopo di noi gli strumenti per renderlo migliore. Se dovessi fare una scala delle mie priorità metterei sicuramente l’istruzione di mio figlio davanti alla ristrutturazione di un tetto. Chi ci governa ha sicuramente delle priorità, ma non sembra che l’istruzione sia ai primi posti. Nessuna misura strutturale per incentivare gli studenti e le famiglie, lentezza biblica nella riapertura delle scuole, nessun piano vero per risalire una china che già prima del COVID era ripidissima. Ferruccio de Bortoli, Presidente dell’Advisory Board di IAB Italia, ha raccontato sul Corriere della Sera con la consueta chiarezza i numeri di un disastro che ci vede all’ultimo posto in Europa per numero di NEET (persone che non studiano e non lavorano) con oltre 2 milioni di giovani tra 15 e 29 anni. Non è colpa del COVID, questa situazione è figlia di una politica che non ha investito sull’educazione e che ci rende il paese con il minor numero di laureati tra i paesi UE. Il capitale umano è diverso da un pannello solare, lo capisco. Non bastano pochi giorni per passare da arretratezza a progresso. Ma senza pensare al futuro delle prossime generazioni non c’è sostenibilità. Possiamo avere abitazioni ecologiche, ma senza persone in grado di costruire il futuro saremo forse più green ma sicuramente più deboli. È ora il momento di agire, non dare priorità all’educazione e alla formazione dei giovani sarebbe il peggiore errore che potremmo commettere. Stato e aziende devono fare un patto. Lo stato fornisca strumenti e le aziende li utilizzino. Forse sto chiedendo troppo a una classe politica che è il risultato proprio della mancanza di investimenti sul capitale umano, e che è più focalizzata sul mantenere il consenso attraverso misure di breve. Voglio credere che questa pandemia abbia evidenziato l’urgenza del fare e la drammatica prospettiva del non fare. Prima di tutto serve un vantaggio concreto e semplice per le aziende che investano in questi ambiti. Anche la task force di Vittorio Colao lo ha detto chiaramente. Come per i tetti fotovoltaici, lo stato garantisca un forte credito d’imposta a chi investa in formazione per i giovani (e anche nel reskilling di risorse tecniche) e in borse di studio STEM per studenti realmente meritevoli. Uno strumento semplice e veloce per attivare il circolo virtuoso tra imprese, università e studenti. Occorre in parallelo costruire percorsi educativi e di formazione collegati in modo diretto al mondo del lavoro. Le università e le imprese devono dialogare di più e soprattutto le prime devono ascoltare la domanda che arriva dalle seconde: un sistema universitario troppo generalista è anacronistico quando drammaticamente mancano 500 mila figure tecniche. Infine, è fondamentale certificare le competenze digitali. Chi deve attuare con urgenza la digital transformation deve sapere a chi rivolgersi e invece si avventura in un mondo di vaghezza dove tutti possono dichiararsi digital guru di qualcosa. Un giovane che vuole entrare nel nostro settore deve poter sapere quali siano i criteri che definiscono l’eccellenza, e puntare a quelli. Certificare in modo chiaro e indipendente le competenze digitali è una scelta che ci renderebbe un caso di scuola a livello europeo, e favorirebbe anche l’internazionalizzazione delle nostre imprese. Noi lavoriamo in un settore che è e sarà sempre più chiave per il futuro del nostro paese. Più di tutti dobbiamo sentire forte la responsabilità di aiutarne la ripresa. Dobbiamo avere, come dice De Bortoli, una “cultura più profonda del bene pubblico” e aiutare i giovani perché più di altri sappiamo quanto il mondo stia andando veloce e quanto, malgrado lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, le intelligenze umane continuino a fare la differenza.