Brand safety, a che punto siamo?
Ad oggi sono due i principali approcci per la verifica della sicurezza delle aziende, ma entrambi presentano dei punti deboli. Come bisogna muoversi allora? Ce ne parla Luca Di Cesare di Smartclip Italia
Con l’inizio del 2017 la Brand Safety è improvvisamente diventata il tema più discusso e la sfida più importante che la nostra Industry sta affrontando nel già super complesso mondo dell’Ad Technology. Se da un lato la richiesta degli investitori pubblicitari di non vedere associato il proprio messaggio a contesti dubbi è più che legittima, dall’altro l’impegno degli editori e delle concessionarie, grazie al supporto degli istituti di verifica, ha contribuito a creare un clima di dialogo e sempre maggiore fiducia. Restano però ancora molti punti aperti che necessitano di approfondimenti per poter definire una modalità condivisa per affrontare questo tema. Come infatti è già successo per la viewability qualche anno fa, la quasi totalità degli operatori del mercato, con alcune notevoli eccezioni (leggi OTT), sta già collaborando per interpretare al meglio le esigenze dei brand e implementare nuovi servizi di analisi e verifica per offrire un prodotto di sempre maggiore qualità. Ma a che punto siamo? Soprattutto, come possiamo migliorare?
Due approcci
Ad oggi ci sono due principali approcci per la verifica della Brand Safety, uno basato sui tag e uno sui crawler (software che analizza i contenuti di un sito in modo automatizzato). Il primo meccanismo, indubbiamente il più diffuso, prevede di associare un tag di un istituto di verifica al codice pubblicitario; questo tag, una volta arrivato in pagina, effettua un’analisi dei contenuti e decide se il contesto è “Safe” per il brand. In genere l’analisi prende in considerazione la URL, i link in ingresso e uscita, i metadati associati alla pagina (informazioni che descrivono il contenuto e il contesto della pagina, utilizzati principalmente dai motori di ricerca per categorizzarla), la verifica della presenza di particolari keyword e il risultato di un’analisi semantica, oltre ad una classificazione per categorie standard potenzialmente “pericolose” (violenza, pornografia, incitamento all’odio, alcol, download illegali…). Il secondo meccanismo, basato su un crawler, affronta il problema dal lato opposto, andando a monitorare siti di contenuti notoriamente non Safe alla ricerca di tag pubblicitari che, attraverso meccanismi di arbitraggio fraudolento, specialmente in Open Market, possono essere stati inseriti in contesti indesiderati. I due approcci sono complementari e presentano entrambi dei punti deboli. Ecco quelli dell’approccio Tag Based:- il Placement potrebbe essere stato di proposito inserito all’interno di un numero molto alto di i-Frame, cioè contenitori che possono simulare un ambiente Safe, che impediscono al Tag di verifica di riconoscere il reale contesto.
- l’analisi semantica potrebbe fornire risultati dubbi e l’analisi per keyword potrebbe generare risultati errati quando non paradossali.
Qualche consiglio
L’esperienza che la nostra industry ha accumulato sul tema ci consente però di poter fornire qualche considerazione e consiglio:- fidiamoci dei planner: il loro lavoro consiste anche nella verifica del piano della campagna, sono loro le persone più indicate a tradurre le politiche di comunicazione di un brand e a pianificare di conseguenza. Inoltre, il contatto quotidiano con concessionarie ed editori permette loro di concordare eventuali contenuti da evitare
- fidiamoci dei partner: un editore di qualità lo è a prescindere dall’analisi di un bot
- chiediamo più trasparenza agli istituti di verifica: due o tre anni fa anche le tecnologie di misura della viewability erano le più disparate e producevano risultati molto discordanti; la trasparenza della metodologia ha permesso una riduzione significativa delle discrepanze e un lavoro di ottimizzazione da parte degli editori. Una tecnologia dal comportamento comprensibile può solo portare vantaggi per tutti gli attori della nostra industry
- c’è bisogno di strumenti pensati per gli editori e le concessionarie; le tecnologie attualmente disponibili sono valide solo per un’analisi a posteriori, mentre risultano poco o per nulla utili per una pre qualifica dell’inventario
- pianifichiamo responsabilmente: l’acquisto in Open Market porta con sé dei rischi (e prezzi più bassi), è necessario esserne consapevoli
- pianifichiamo ancora più responsabilmente: da un grande potere deriva una grande responsabilità (cit.), non assumersela per quello che i propri utenti pubblicano non è più tollerabile.