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28/02/2023
di Caterina Varpi

Più fiducia e ricavi per le aziende che si distinguono in ambito Diversity & Inclusion

I risultati del Diversity Brand Index 2023

Francesca Vecchioni

Francesca Vecchioni

Il livello di attenzione e sensibilità sulle tematiche della diversità e dell'inclusione si conferma molto alto in un mercato sempre più consapevole, selettivo e attento a valutare le iniziative dei brand, così come si riafferma per le aziende ritenute più inclusive un delta del +21% nella crescita dei ricavi rispetto alle altre, grazie a un Net Promoter Score (passaparola) positivo del +72,8%.

Il settore del fashion e della moda è sempre più percepito come inclusivo, subito dopo il retail, mentre consumatrici e consumatori ostili alle tematiche LGBT+ continuano a diminuire e aumentano coinvolgimento, familiarità e contatto verso le tematiche generazionali e LGBT+. Irrompono le persone indifferenti - disinteressate alle tematiche della diversità, nonché poco vicine ai temi della sostenibilità sia sociale che ambientale, prevalentemente di fascia d'età media (35-54 anni) - e le inconsapevoli, con forte collettivismo e scarso individualismo che non hanno nessuna forma di familiarità, coinvolgimento e contatto con le diverse forme di diversità nonostante l'interesse verso le tematiche sostenibili.
 
Questi gli highlights che emergono dal Diversity Brand Index 2023, unica ricerca italiana volta a misurare la capacità delle marche di sviluppare con efficacia una cultura orientata alla Diversity, Equity and Inclusion (DE&I), ideato e curato da Diversity e Focus MGMT.

Lo studio sarà presentato giovedì 2 marzo durante la sesta edizione del Diversity Brand Summit. Quest’anno l'evento, coerentemente con un mercato finale sempre più esigente, segnalerà solo i 10 progetti più meritevoli, individuati dal Comitato Scientifico e dal Security Check Committee, al posto della top 20 degli scorsi anni.
 
Barbie, Lavazza Group, Intesa Sanpaolo, Lines, Procter & Gamble, Netflix, Rai, Real Time, Spotify e The Walt Disney Company: questi i brand che hanno firmato i migliori progetti e le migliori iniziative del 2022 che compongono la TOP 10 Initiatives del Diversity Brand Index per la loro capacità di lavorare concretamente sulla DE&I, impattando anche sulla percezione di consumatrici e consumatori.

"Quest'anno abbiamo voluto elevare l’asticella passando dalla top 20 a una top 10 delle migliori iniziative dei brand in tema DE&I" dichiara Francesca Vecchioni, Presidente di Fondazione Diversity. "Una direzione emersa chiaramente dalla ricerca Diversity Brand Index: la consapevolezza verso le tematiche della DE&I è infatti in continuo aumento. Consumatrici e consumatori, anche in un mercato così affollato, distinguono le azioni e la comunicazione più coerenti e autentiche in tema di inclusione, da quelle più strumentali o imputate di diversity washing. Non basta più stampare una bandierina rainbow sul proprio packaging o fare un post rosa per l’8 marzo per essere inclusivi: su questi temi le persone a cui si vuole parlare sono spesso più competenti delle stesse aziende che li comunicano. Oggi gli standard si sono alzati di molto, ai brand è richiesta coerenza, autenticità e competenza. Non si comunica più la DE&I, si comunica con la DE&I, ed è uno strumento eccezionale solo se è autentico, l’unico modo per arrivare davvero”.

7 persone su 10 parlano bene di un'azienda considerata inclusiva

Anche quest'anno si conferma come le pratiche inclusive sui temi di genere, etnia, LGBT+, età, status socio-economico, disabilità, religione e credo e la new entry aspetto fisico (le 8 aree della diversity su cui si concentra la ricerca) impattino positivamente sulla reputazione dell'azienda e sulla fiducia delle consumatrici e dei consumatori, riversandosi in un indice di passaparola positivo e risultati economici migliori. 

7 persone su 10 infatti parlano bene di un'azienda considerata inclusiva, come rileva l'NPS (Net Promoter Score, indicatore del passaparola), ora a +72,8%, anche se in discesa (-13,7%) rispetto all'anno precedente; per le aziende percepite come non inclusive, invece, l'NPS rimane molto basso, sebbene per il secondo anno consecutivo in leggero miglioramento (-71,2% vs -77,2% del 2022): l'accorciamento di questa forbice è indicativo di quanto sia più difficile oggi suscitare un reale impatto su queste tematiche, a causa di un mercato sempre più consapevole, selettivo e attento a valutare le iniziative dei brand, capace quindi di individuare maggiormente mere operazioni di "diversity washing". Per lo stesso motivo, cala leggermente dal 23% al 21% il differenziale della crescita dei ricavi, sempre però a favore di quelle percepite come maggiormente inclusive. Il valore del 21% risulta più elevato per le aziende che hanno lavorato sulla user experience (prodotti e servizi diversity-oriented, rappresentazione inclusiva della clientela, shopping experience inclusive).

A conferma che oggi, per emergere tra la concorrenza sui temi DE&I, occorre farlo con iniziative davvero sostanziali, il campione della survey di quest'anno (1.037 rispondenti) ha citato un numero di brand “maggiormente inclusivi" leggermente inferiore rispetto al 2022 (356, contro i 366 dell’anno precedente).
 
Sulla composizione settoriale dei primi 50 brand percepiti dal mercato come più inclusivi si registra la costante progressione delle marche dell'Apparel & Luxury goods (+2% rispetto allo scorso anno) che balzano in 3 anni dal 6 al 22%, segno dell'efficacia delle attività più inclusive degli ultimi anni; calano del 4% invece le aziende legate al Retail, che con il 24% complessivo restano comunque il segmento più ampio; scendono per il secondo anno consecutivo le aziende dell’Information Technology (-2%, 6% complessivo), così come retrocedono di 2% quelle dei Consumer Services (4% totale); +2% invece per i settori Consumer Electronics (assestandosi all'8%) e Utility (al 4%). Tutti stabili gli altri: Media (al 10%), Healthcare & Wellbeing (all'8%), FMCG (beni di largo consumo, all'8%), Telco (al 2%), Toys (2%). Novità di quest'anno, l'ingresso della categoria Automotive (2%), settore finora totalmente assente nella rilevazione, pur avendo da sempre un'alta esposizione comunicativa.
 
Cambia ancora il profilo delle consumatrici e dei consumatori: il 69,3% di loro è più propenso nei confronti dei brand percepiti come più inclusivi, apparentemente in discesa rispetto all'anno precedente (che era il 77,5%), ma con forme di negatività meno accentuate e meno schierate. Alla costante diminuzione e attenuazione nelle posizioni più estreme delle persone Arrabbiate 2.0, infatti, l'unica categoria realmente negativa nei confronti della DE&I, arrivata ora al 18,7% (-3,8 p.p), si affianca l'ingresso di due nuovi cluster, Indifferenti e Inconsapevoli, che erodono punti agli altri: Impegnati, sempre il cluster più numeroso della rilevazione con il 27,7%, che scendono di 1,7%; Consapevoli, che cedono 6,4% e toccano l'8,8%; Coinvolti, che calano al 13,7% (-1,9%); Tribali, persone tendenti all'individualismo e attente ai temi della DE&I, soprattutto LGBT+ se coinvolgono il proprio nucleo familiare, che toccano quota 10,6% (-2%).

Dalla ricerca emerge infine una crescita dell'interessamento e dell'apertura da parte delle Italiane e degli italiani verso le tematiche legate alla diversity, nella familiarità, nel contatto e soprattutto nel coinvolgimento verso tutte le forme di diversità (con un piccolo peggioramento solo della familiarità verso genere, etnia, disabilità, religione e credo e status socio-economico); a registrare trasversalmente una crescita più marcata sono l'età e LGBT+, in quest'ultimo caso probabilmente a causa del forte dibattito sul DDL Zan nel 2022.

Aziende sempre più attente alle tematichie D&I

La maggior consapevolezza e attenzione verso la DE&I emerge anche sul fronte delle aziende: si conferma il trend che in 5 anni le ha viste candidare sempre più iniziative esterne, salite dal 35% del 2017 al 90% del 2022, rispetto a quelle interne, che passano conseguentemente dal 65% del 2017 al 10% del 2022, segnale che le aziende sono sempre più consapevoli dell'importanza di questi temi da parte del mondo che le circonda. Quest'anno crescono moltissimo le attività in local engagement (supporto ad associazioni di volontariato, PR locali, marketing territoriale), mentre diminuisce drasticamente l’impegno sulla user experience, che sposta molto le percezioni del mercato finale, dato che si allinea con la diminuzione dei brand citati e la ridotta intensità dell’NPS.

Altro indice di questa maggior consapevolezza, l'aumento di 16 p.p. rispetto all'edizione precedente (e arrivano al 48%) delle persone che affermano di essere a conoscenza di programmi di Supplier Diversity all'interno della propria azienda (programmi che incoraggiano l’approvvigionamento da  aziende fornitrici presso cui è garantita l'inclusione di tutte le forme di diversità); tra queste, si registra anche una maggior richiesta di certificazioni (34%, +17 p.p. rispetto all'anno precedente), mentre diminuiscono vistosamente le aziende che non hanno né programmi di Supplier Diversity e che nemmeno richiedono certificazioni (31%, -13 p.p.).
 

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