I brand del lusso hanno paura del Programmatic?
Rientrano in quella categoria di inserzionisti ancora affezionata ai media tradizionali e particolarmente diffidente nei confronti dell’acquisto automatizzato di media. La riluttanza scaturisce dal desiderio di mantenere il controllo sul marchio
Non tutti i settori merceologici si sono approcciati nello stesso modo al digitale. Negli ultimi anni sono emerse, infatti, molte divergenze d’opinione nei confronti del marketing tecnologico e, in particolare, del Programmatic, uno strumento che ha alternamente attratto entusiasmi e scetticismi da parte dei marketer. Le aziende del lusso rientrano in quella categoria di inserzionisti ancora affezionata ai media tradizionali e particolarmente diffidente nei confronti dell’acquisto automatizzato di media. La riluttanza scaturisce dal forte desiderio di mantenere il controllo sul marchio. Mentre alcuni operatori di alto profilo continuino a trascurare i canali digitali, persino i social network, The Drum rivela che è in corso, benché lenta, un’inversione di tendenza. Una ricerca pubblicata da ZenithOptimedia ha registrato che i produttori di articoli di lusso, nonostante un netto svantaggio rispetto al mercato pubblicitario nel complesso, stanno cominciando ad investire sempre più risorse nel digitale, a discapito dei mezzi offline. Un’evidenza confermata anche da Publicis Groupe, che stima che il digitale rappresenterà per il settore lusso il medium principale nel 2017, superando stampa e tv con una quota del 32,1% sulla spesa complessiva effettuata dalle aziende dell’industria. Emerge, dunque, la necessità di tali marchi di controllare l’ambiente in cui sono esposti al pubblico; lo studio ha osservato che le riviste patinate, come ad esempio quelle di moda, costituiscono un canale adatto poiché garantiscono “esperienze di lettura di qualità elevata, coinvolgenti e rilassate; un ambiente particolarmente consono per queste aziende che cercano di mostrare i valori del proprio brand”. Effettivamente, non sono mancati per i marketer gli episodi spiacevoli: alcuni annunci sono comparsi in contesti di imbarazzo o addirittura su siti sconvenienti, se non deleteri, per l’identità aziendale.