Oggi nelle nostra rassegna parliamo di ad fraud e dei progetti di Amazon e Snapchat.
Nuova strategia adv per Snapchat: da "venditori" a "consulenti"
Da poco rimasta senza il suo storico chief strategy officer Imran Khan, appena uscito dalla società,
Snap sta facendo i conti con un'importante trasformazione strategica: quella
da venditore di singoli formati pubblicitari a consulente di soluzioni di business. "Quando tutti i tuoi prodotti sono disponibili in self-service, diventi quasi un consulente per un brand", spiega Peter Sellis, director of product management for monetization di Snap. Intanto la società ha
definitivamente spostato l'intera sua offerta in programmatic, compresi i formati in Realtà Aumentata. "Non ci aspettavamo di farlo così rapidamente, stavamo tastando il terreno - ha dichiarato il manager -. Ma i risultati sono stati abbastanza positivi da convincerci a trasferire l'intera offerta".
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Amazon mira alle inventory televisive
Amazon punta a stringere accordi con grossi broadcaster e canali televisivi per la vendita di pubblicità sui loro contenuti. Il colosso di Seattle starebbe lavorando a un programma pilota per la vendita di annunci sulle app della sua Fire TV, e avrebbe già avviato dei colloqui con selezionate applicazioni video per la commercializzazione di adv targettizzate con i propri dati, in cambio della distribuzione dei contenuti. Nelle sue intenzioni, però, ci sarebbe quella di coinvolgere anche network di grosso calibro, come Fox, NBCUniversal e Hulu. Un progetto che, qualora andasse in porto, costituirebbe una rivoluzione per il mercato della pubblicità televisiva, i cui operatori sono tradizionalmente restii a consentire a società terze di vendere la propria preziosa inventory.
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Quanto è "conveniente" un'impression fraudolenta?
Uno studio della società di sicurezza informatica Confiant ha analizzato più di 50 miliardi di impression pubblicitarie su migliaia di siti, provando a dare delle dimensioni di
quanto uno spazio adv fraudolento possa costare meno rispetto ad uno non contraffatto. La società ha scoperto che, in media, i CPM che gli editori ricevevano dalle impression immesse poi in maniera fraudolenta sul mercato dagli intermediari erano il 54% più bassi di quelli ricevuti da inventory correttamente rappresentate nelle aste in programmatic.
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