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24/05/2019
di Alessandra La Rosa

Digital identity, quanto è considerata importante da chi opera nel programmatic?

Qual è il sentiment di aziende, agenzie ed editori sul tema dell'identificazione degli utenti? E quanto conosciute e adottate sono le soluzioni di ID unico? Il tema al centro di uno studio di ID5

Quanto si sa sul tema dell'identity nel mercato del programmatic? Per chi opera nel settore, migliorare le proprie capacità nell'identificazione degli utenti è considerato prioritario? E quanto conosciute e adottate sono le soluzioni di ID unico? Per rispondere a queste domande, la società indipendente di identity digitale ID5 ha realizzato lo studio "The State of Digital Identity", coinvolgendo circa un centinaio di professionisti della pubblicità tra gennaio e febbraio 2019. Secondo i risultati del report, il tema dell'identity è oggi più importante che mai nel mondo della pubblicità digitale: ben l'89% degli intervistati ha dichiarato di considerarlo una priorità per il proprio business. I professionisti del programmatic, inoltre, riconoscono che Google, Facebook e Amazon riescono a identificare gli utenti in maniera efficiente, e ben il 95% considera questa capacità un grande vantaggio competitivo per i walled garden. E questo si riverbera sugli investimenti pubblicitari, come sottolinea Mathieu Roche, co-Founder e CEO di ID5: «L'indentificazione [degli utenti] è uno dei fattori chiave che consentono a Google, Amazon e Facebook di attrarre la maggior parte dei budget di programmatic. Secondo la nostra ricerca, i professionisti dell'ad tech e gli editori sono ben consapevoli di questo fatto, e molti di loro (l'89%) percepiscono che la dominanza dei walled garden è una grande minaccia per il loro business». Il mercato, inoltre, si rende conto che le attuali metodologie di identificazione degli utenti basate sull'abbinamento di cookie sono inefficienti: il 91% infatti sostiene che il mercato necessiti di migliori soluzioni. E del resto, la sincronizzazione dei cookie è causa di molte preoccupazioni per gli editori, con il 60% di essi che ha avuto difficoltà a causa di bassi livelli di abbinamento in occasione dell'implementazione di PMP e Deal. Il 93% di brand, agenzie ed editori conviene sull'importanza di aumentare i "match rate" con i propri partner tecnologici ma sostiene anche di non avere controllo e visibilità sul problema: il 40% dei brand e il 43% degli editori non sa a quanto ammontano tali livelli. Molti di loro immaginano che siano di oltre il 90% quando invece sono intorno al 75% secondo molti professionisti dell'ad tech. «La buona notizia è che il mercato del programmatic sta compiendo progressi man mano che decolla il supporto e l'adozione di soluzioni di ID condivisi - spiega Roche -. Secondo la nostra ricerca, l'85% dei professionisti del programmatic supporta questo tipo di iniziative di condivisione dell'identity. Alcuni operatori sono più veloci di altri ad adottare questo tipo di soluzioni, ma la collaborazione a livello di industry sta accelerando. L'ad tech si sta avvicinando sempre più all'utilizzo di nuovi metodi per identificare gli utenti e condividere le informazioni in modo trasparente ed efficiente». Di seguito un'infografica che sintetizza le principali evidenze della ricerca.

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