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27/02/2019
di Cosimo Vestito

Pubblicità online, cresce il ruolo delle data-company. Zampori (Quantcast): «E' in atto una rivoluzione»

Come emerso dai dati dell'Osservatorio Internet Media, l'approccio data-driven è uno degli elementi di traino per tutto il comparto della pubblicità online (e non solo). Ma la capacità di integrazione dei dati di terza e prima parte è fondamentale

E' un mercato pubblicitario sempre più "data-driven": i dati presentati martedì dall'Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano nel corso del convegno “Data & Media: handle with care” confermano la crescita dell'advertising online in Italia (arrivata a 3 miliardi di euro nel 2018), con il programmatic che, di nuovo, costituisce insieme al video e ai social uno dei comparti trainanti. «Il mercato pubblicitario online ha raggiunto quote rilevanti e continua a crescere con tassi a doppia cifra. Una gran parte degli investimenti è determinata da un approccio data driven. Anche per questo, le data company stanno assumendo nella filiera un posizionamento sempre più importante», ha commentato Giuliano Noci, responsabile scientifico dell'Osservatorio. Si tratta di una considerazione avvalorata dai numeri della ricerca, che dimostrano come per le aziende investitrici italiane è diventato sempre più importante ricorrere ai fornitori di dati di terza parte per poter arricchire la conoscenza dei clienti e le indicazioni sui contatti in proprio possesso. La capacità di integrazione dei dati venduti con le informazioni già presenti in azienda è quindi fondamentale, e il mercato lato domanda e offerta ne è sempre più consapevole: dall’analisi condotta dall'Osservatorio Internet Media (che ha compreso 28 data company attive in Italia), emerge che l’89% del campione permette questa attività: 8 su 10 tramite cookies matching e solo alcune attraverso altre tecnologie. Le aziende che si muovono in questo mercato si possono suddividere in due macro-categorie: da una parte, i data provider “puri” (o Data Providers & Technologies), ossia coloro che mettono direttamente a disposizione dell’acquirente i dati; dall’altra le Buying Technologies, che invece veicolano i dati esclusivamente in corrispondenza dell’attivazione congiunta di una campagna pubblicitaria. Indipendentemente da queste due macro-categorie, ogni azienda può offrire diverse tipologie di dato: tra le più diffuse troviamo i dati socio-demo (come sesso, età o reddito) e di interessevenduti dal 93% dei provider; seguono i dati comportamentali (ad esempio, cronologia di navigazione e ricerche sui browser) venduti dall’89%, i dati di acquisto e i dati geo-local (per fornire all’utente messaggi contestuali alla sua posizione) venduti dal 71%; infine i dati psicografici (che si focalizzano sulla comprensione degli attributi cognitivi, come ad esempio le emozioni dei consumatori, 39%) e gli analytics in store (comportamento in punto vendita, 25%). I risultati della ricerca, nonché l'impatto sulla pubblicità data-driven di novità normative come il GDPR e il nuovo regolamento sulla ePrivacy attualmente in discussione in Europa, sono stati commentati in una tavola rotonda a cui hanno partecipato Francesco Boano (CTO di Signals Data), Roberto Carnazza (Managing Director di Weborama Italia) e Ilaria Zampori (General Manager di Quantcast Italia). Secondo quest'ultima in particolare, per quanto riguarda la capacità di mettere a profitto i dati nella comunicazione «oggi è in atto una vera e propria rivoluzione che vede le cosiddette aziende unicorno, ossia quelle digitalmente più evolute, prevalere sulle imprese tradizionali e analogiche». Un successo determinato, secondo Ilaria Zampori, da un nuovo modello di business «capace di comprendere e sfruttare non solo tecnologie innovative e altamente performanti come l'intelligenza artificiale, ma anche il significato e il valore dell’utilizzo di dati online e di alta qualità». Un’affermazione che trova conferma nei risultati del report “Lezione dai brand del XXI secolo” nato da una recente survey condotta da Quantcast con Forbes Insights intervistando oltre 500 marketing manager di tutto il mondo. Tra le evidenze più rilevanti emergono una capacità notevolmente superiore nel targeting e nella misurazione registrata dal 95% dei Leader, ossia i brand più maturi a livello digitale, che usano dati di prima parte e una maggiore efficacia sia nel costruire il valore del brand che nel ridurre i costi per acquisizione cliente dichiarata dai brand che adottano una strategia marketing digitale. A fronte dei risultati ottenuti, Quantcast ha definito quattro best practice per migliorare la maturità dei brand in questa nuova era del marketing: essere digitali, parlare “alla” audience non “con”, ottenere i dati con intelligenza ed infine combinarli con tecnologie evolute come l’AI. Ilaria Zampori ha poi affrontato anche il tema GDPR e in particolare l’importanza di implementare una CMP. Proprio Quantcast infatti ha sviluppato Quantcast Choice, una tra le piattaforme più utilizzate in Europa per registrare, archiviare e gestire il consenso per utilizzare i dati dell’utente.

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