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09/12/2019
di Teresa Nappi

Gli italiani vogliono fidarsi dei brand, ma contestano le modalità di raccolta dati

Secondo la “Consumer Pulse Survey 2019” di Accenture Interactive, l’83% dei consumatori è propensa a fornire dati se i brand garantiscono trasparenza nei processi di raccolta

Accenture Interactive ha di recente condotto un’indagine a livello globale per conoscere l’opinione delle persone rispetto alla raccolta e all’utilizzo online dei loro dati personali ai fini pubblicitari (leggi qui i dati della ricerca condotta a livello globale). La ricerca nasce dall’esigenza di delineare i confini entro i quali i brand devono muoversi nella personalizzazione dei messaggi pubblicitari evitando di spingersi troppo oltre e risultare invadenti. La “Consumer Pulse Survey: See People, Not Patterns” ha dedicato una sostanziosa analisi al nostro Paese dalla quale emerge che la quasi totalità degli intervistati italiani, corrispondente all’83%, è propensa a fornire i propri dati se i brand garantiscono trasparenza sulle modalità di utilizzo, una percentuale considerevolmente maggiore se comparata agli altri Paesi europei, per esempio in Germania è il 68%, in Svezia il 67%, in Spagna il 72%. Lo scenario che si delinea presenta zone d’ombra, ma anche di luce, nel momento in cui un marchio è in grado di offrire ai consumatori esperienze di valore in cambio dei dati personali. La tematica principale diviene dunque la comprensione delle esigenze delle persone e il comportamento che i marchi devono tenere per mantenere fedeltà e fiducia. Infatti, se da un lato il 90% degli intervistati ha sottolineato l’importanza che i brand comprendano le preferenze personali, alla luce di passioni e interessi individuali, dall’altro emerge come il Data Gathering (raccolta dei dati) deve avvenire entro certi limiti, rispettando la privacy.

Le perplessità dei consumatori italiani

Gli italiani intervistati hanno condiviso alcune perplessità rispetto alle tecniche di digital advertising oggi più usate dai brand online. Di questi il 76% ha aggiunto di voler per questa ragione interrompere il rapporto con il marchio, il 47% ha dichiarato che un brand era in possesso di informazioni personali senza che essi le avessero condivise direttamente con loro, il 14% sostiene che, oltre ai dati personali, essi fossero inoltre a conoscenza di notizie riguardo alle loro famiglie e il 51%, infine, ha ricevuto consigli e opinioni non richieste in merito ad acquisti che stava considerando di compiere. Ad allarmare le persone tuttavia non è solo il tipo di informazioni a disposizione dei brand, ma anche le modalità con cui sono state ottenute. A tal proposito, il 63% dei consumatori italiani ritiene inquietante la raccolta dei dati tramite microfono e assistenza vocale, posizionando nella top five delle tecniche pubblicitarie sgradevoli una pubblicità riguardante un prodotto del quale cercato tramite microfono, ma per il quale non si è mai fatta una ricerca online.

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La classifica procede successivamente menzionando gli annunci che vengono riproposti su dispositivi differenti, quelli inseriti sui social media basati su un recente acquisto e termina con il servizio offerta da un addetto alla clientela che ha accesso allo storico del proprio shopping online, inclusi i prodotti non acquistati. I consumatori italiani hanno però dimostrato di apprezzare alcune strategie messe in atto dai brand per rimediare alle esperienze non andate a buon fine. Nella classifica stilata dagli intervistati viene posizionata al primo posto una email di scuse in merito a un’esperienza che non ha soddisfatto le proprie aspettative, a seguire un messaggio sul telefono personale nel quale ci si scusa per le performance non all’altezza delle aspettative, un’inserzione pubblicitaria che suggerisca l’acquisto di un prodotto in base agli acquisti precedenti e, infine, una email di reminder per qualcosa che è stato scordato nel carrello online.

Brand, usate i dati, ma con rispetto

L’indagine propone un ulteriore confronto tra esperienza online ed esperienza fisica, al fine di individuare i settori con cui gli italiani preferiscono interfacciarsi nelle due modalità. Nel nostro Paese le categorie maggiormente apprezzate risultano i retailer, i servizi di streaming, quelli di viaggio (hotel e voli) e infine i servizi di online banking. C’è margine di miglioramento per l’esperienza offerta in ambito digitale per alcuni settori: automobilistico, utilities, sanità e pubbliche amministrazioni. Il Data Gathering rappresenta dunque la chiave per perfezionare al meglio l’esperienza del cliente, comprendere le sue esigenze e passioni in modo tale da riuscire a soddisfare le sue necessità raggiungendo standard sempre più elevati e conquistarsi margini di mercato ancora legati alla vendita tradizionale. Dalla ricerca è infatti emerso che i consumatori vorrebbero essere trattati in modo olistico, per veder migliorare il customer journey e l’esperienza complessiva. All’interno di questo approccio, deve però inserirsi in maniera più netta il rispetto nei confronti della sensibilità dei consumatori, così da poter creare e implementare il rapporto di fiducia, fedeltà e soddisfazione per entrambe le parti. Last but not least, nell’analisi è stata ascoltata l’opinione degli italiani anche nei confronti dei casi di Data Breach (violazione dei dati): il 42% degli intervistati reagirebbe modificando la propria password, il 39% cesserebbe immediatamente il rapporto e il 35% analizzerebbe con maggior cautela le politiche del brand inerenti alla privacy.

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