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26/03/2021
di Andrea di Domenico

Digital tax: il punto di vista di UNA sulla tassa sui servizi digitali

Emanuele Nenna, Presidente UNA, mette in luce i punti controversi del provvedimento: «Cerchiamo di evitare che le agenzie subiscano danni collaterali»

Emanuele Nenna

Emanuele Nenna

Uno dei temi caldi per il mondo del digitale di quest'anno è quello della digital tax, che a inizio marzo, ha subito un nuovo rinvio, con il termine per il pagamento fissato al 16 maggio e quello e per la presentazione della reliativa dichiarazione al 30 giugno.


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Prevista dalla legge di Bilancio 2019, la tassa sui servizi digitali è stata introdotta solo con quella successiva. Originariamente la data di scadenza per il primo versamento era il 16 febbraio di quest’anno, poi il decreto legge del 15 gennaio ha concesso 30 giorni di tempo in più, rimandando, contestualmente, anche la scadenza per la presentazione della dichiarazione. In questo modo, la digital tax è al secondo rinvio.

La tassa sui servizi digitali è stata al centro di un lungo dibattito negli anni scorsi, suscitando l'attenzione di diverse associazioni del settore, tra cui UNA, IAB Italia e Anso, su punti controversi come i fenomeni di doppia tassazione, le problematiche per operatori locali e intermediari, la pubblicità mirata. Il presidente di UNA, Emanuele Nenna, ha approfondito l'argomento con Engage, mettendo in luce l'operato dell'Associazione e le perplessità sollevate finora dal provvedimento.

Si continua a parlare della cosiddetta Web Tax. Qual è la situazione al momento?

Il Ministero dell’Economia e delle finanze ha comunicato la proroga per la consegna dei conteggi relativi alla cosiddetta web tax al 16 maggio 2021, ma ancora non è chiaro chi dovrà davvero pagare l’imposta, e su quali servizi. Il tema è ancora molto dibattuto sia a livello italiano che internazionale. Anche in Francia si aspettano a giorni le decisioni che possono coinvolgere o meno le agenzie media.

Che cosa ha fatto la vostra associazione per contribuire a chiarire la situazione?

L’Agenzia delle Entrate aveva opportunamente aperto una consultazione pubblica alla fine di dicembre su una bozza di provvedimento attuativo, raccogliendo un gran numero di commenti qualificati da parte degli operatori del settore - compreso UNA, che in qualità di rappresentante dell’ecosistema delle agenzie in Italia, ha prontamente partecipato alla consultazione dando voce ai suoi membri. Le proposte di correttivo arrivate e pubblicate dall’Agenzia erano piuttosto allineate tra i diversi attori della filiera, e proponevano interpretazioni volte a preservare lo spirito della norma, ma a non colpire gli operatori locali e gli intermediari, che niente hanno a che fare con il tema della monetizzazione dei dati degli utenti né, tantomeno, con il dibattito sull’elusione fiscale. Si tratta di aziende che operano in Italia e che già pagano le tasse nel Paese di competenza: l’ecosistema delle agenzie contribuisce all’1.7% del PIL italiano, pari a 27.6 miliardi di euro e l’occupazione sostenuta dalle loro attività ammonta a oltre 433 mila unità (fonte Prometeia).

Avete avuto riscontri?

La versione definitiva del provvedimento pubblicata il 15 gennaio è pressoché identica a quella posta in consultazione. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate ha annunciato l’emanazione di una ulteriore circolare e riteniamo importante continuare a lavorare con le istituzioni per far sentire la voce delle agenzie e limitare l’impatto dell’imposta sui servizi digitali sul nostro settore.

Quali sono i punti da voi sollevati?

In particolare, senza dubbio in buona fede e a causa di una non approfondita conoscenza di un settore complesso, dal provvedimento emanato sembra emergere che la pubblicità digitale sarebbe tassata del 3% ad ogni passaggio tra operatori differenti della filiera, e sul totale dell’ammontare. Questo porterebbe a fenomeni di doppia tassazione e, soprattutto, ad azzerare di fatto i margini di un settore come il nostro che sono ridottissimi, spesso inferiori all’aliquota di imposta. È paradossale che, nel caso in cui una agenzia ad esempio intermedi un acquisto di pubblicità online per il valore di 100 euro, trattenendo una commissione del 2%, debba pagare a titolo di ISD il 3% su 100 euro. È fondamentale che la circolare specifichi che gli intermediari non sono colpiti dall’imposta o, al limite, che ciascun soggetto passivo intermediario paghi l’imposta esclusivamente sulla propria fee di intermediazione.

Nell’ipotesi in cui il costo della tassa fosse riproposto al cliente finale, temiamo che l’aumento di costo possa frenare la crescita del comparto che negli ultimi anni ha sostenuto il mercato del media con i più alti tassi di crescita. Paradossale che da una parte si cerca di convincere le aziende ad abbracciare la comunicazione digitale e dall’altra si creano questi aggravi.

Quello della doppia tassazione è l’unica perplessità sulla formulazione della legge?

Resta poi da chiarire cosa si intende per “pubblicità mirata”. Il provvedimento approvato chiarisce che è mirata la pubblicità servita “in funzione dei dati dell’utente”. Sembra pertanto che non sia soggetta a tassazione la pubblicità contestuale, quella cioè legata ai contenuti della pagina che la ospita. Parrebbe una scelta coerente con la filosofia della norma, ma crediamo che l’esclusione della pubblicità contestuale vada esplicitata, per evitare il rischio di contenziosi.

Infine, c’è proprio il tema dei contenziosi. I provvedimenti attuativi arrivano con grave ritardo - erano previsti per la primavera 2020 - e a ridosso delle scadenze per i versamenti. Risultano inoltre, finora almeno, non chiari e passibili di differenti interpretazioni da parte delle imprese. Per questo sarebbe logico e sensato, per il primo anno di attuazione, eliminare le sanzioni in modo che le imprese possano serenamente versare il dovuto entro i termini e poi confrontarsi con l’Agenzia nei prossimi mesi sui punti più controversi, senza incorrere in sanzioni.

Una situazione molto complessa quindi, che fare dunque?

Capiamo le difficoltà dei legislatori e con le nostre osservazioni abbiamo probabilmente reso necessaria una ulteriore fase di approfondimento. Del resto, anche a livello europeo si era cercato di concordare un accordo tra i vari Paesi membri, che non è stato possibile raggiungere, obbligando ogni Paese ad esprimere una sua norma specifica. Rimane l’accordo che quando si raggiungerà una formulazione a livello europeo, questa supererà le norme nazionali. Il tutto sembra prendere una forma di conflitto fiscale tra Europa e Usa dove gli OTT dichiarano di pagare già le loro tasse. Temo quindi che ne sentiremo parlare ancora in futuro, ma nel frattempo cerchiamo di evitare che le agenzie subiscano danni collaterali.

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