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18/03/2016
di engage

Branded Entertainment: nel 2016 si spenderanno quasi 300 milioni di euro

A “Brands Tells Stories”, il Summit 2016 di OBE – Osservatorio Branded Entertainment, esperti internazionali e player italiani sono stati concordi nel dire che il BE sta cambiando la comunicazione

«Il Branded Entertainment non è per chi è ossessionato dal controllo dei contenuti». Sono le parole di Tommaso Valle, Head Of Communications and Corporate Affairs McDonald’s Italy, intervenuto giovedì a “Brands Tell Stories”, il Summit 2016 di OBE – Osservatorio Branded Entertainment, che si è tenuto a Milano, presso la sede de Il Sole 24 Ore, in via Monte Rosa. Una dichiarazione che ha trovato tutti d’accordo. Il Branded Entertainment, forma di comunicazione costantemente in ascesa, non dà i risultati sicuri dell’investimento pubblicitario, né la possibilità di controllare completamente il messaggio. Ma porta valore alla marca, coinvolge il consumatore e, sì, dà anche risultati.

Contenuti sempre più interessanti

Lo sa bene proprio McDonald’s, che con l’operazione “I’m Loving Expo” è riuscito a inserirsi in un evento con il quale, fino a poco tempo fa, non sembrava avere niente a che fare: l’idea chiave è stata quella di far raccontare Expo ai giovani dai giovani, con tre d.j. esordienti e un programma andato in onda su Radio 105 e su Radio McDonald’s, con le amplificazioni social create ad arte, con grandi numeri (300 ore di diretta su Radio 105, 200 collegamenti live, 800 “pillole” in altri programmi) e una visibilità (tra adv radio, digitale e aspetti editoriali) stimabile in 1,7 milioni di euro. Cose da brand globale, come lo è oggi TIM, che al Summit ha portato molti esempi di Branded Entertainment. A fare notizia però è l’ultimo – andrà in onda su Rai 2 dal 23 marzo in coda a “The Voice” – pensato per un target molto particolare, gli “over 30 techno user”, persone tra i 30 e i 45 anni, completamente digitalizzati ma non a conoscenza di tutte le app disponibili. Si chiama “Start!” e vedrà Federico Russo e Francesco Mandelli risolvere ogni volta un problema – una cena, una partita di calcetto – grazie ad app trovate nel loro device mobile. Perfettamente coerente con il nuovo posizionamento di TIM, che è quello di “principale abilitatore della vita digitale del paese”, come ha spiegato Anna Gavazzi, Brand Development Manager di TIM. Perché non ci sarà mai nessun esperto del settore che non vi ricorderà come il Branded Entertainment ha senso solo se il contenuto è coerente con i valori della marca, con la sua storia, i suoi toni di comunicazione. E allora è naturale che Ferrovie dello Stato Italiane, per raccontare “Un viaggio di cento anni” che va dall’entrata dell’Italia nella Grande Guerra all’inizio di Expo, e lanciare il nuovo treno Frecciarossa 1000, abbia scelto il più classico dei mezzi, il cinema, e affidato un mediometraggio di 40 minuti a Pupi Avati, regista che ha un tocco speciale nel raccontare il passato. Il film è andato in onda su Rai 1, in seconda serata, con uno share dell’11%. In ogni caso, il Branded Entertainment conviene perché, come spiega Beto Fernandez, Group Creative Director di BBH London, oggi «la gente paga per non vedere la pubblicità». Si riferisce alla grande richiesta di tv a pagamento, video on demand, di una fruizione personale che non venga interrotta dagli spot. I concorrenti dei brand oggi non sono gli altri brand, ma le serie tv, i film, lo sport in diretta, i video virali. Ed è per questo che i brand devono puntare a fare contenuti sempre più interessanti, che la gente cerchi e ami condividere. Ma esistono molte vie al Branded Content: l’altro International Keynote Speaker, Pascal Somarriba, fondatore di Via Alternativa, uno che negli anni Novanta ha lavorato alla comunicazione di Benetton con Toscani, ci ricorda che a volte può essere molto utile il Content Marketing, una serie di contenuti meno spettacolari, ma più controllabili e più collegati alla vendita. L’esempio che fa è quello di Decathlon e una serie di video tutorial per allenamenti postati on line, con la possibilità di vendere/compare anche gli articoli giusti per gli allenamenti.

Branded Entertainment: un mercato pronto a crescere

Ma veniamo ai dati. Secondo lo studio di OBE, presentato dal Direttore Generale Elena Grinta, nel 2015 il mercato italiano del branded entertainment ha raggiunto i 240 milioni di valore, calcolando la componente media e quella di produzione, mentre l’anno prossimo si prevede di sfiorare i 300 per arrivare a circa 350 nel 2017. Il 56% delle aziende che fanno Branded Entertainment lo fanno per costruire o consolidare i valori della marca, il 51% per investire in un modo diverso dalla pubblicità, il 47% per entrare in contatto con clienti reali o potenziali, il 44% per aumentare l’awareness della marca, e il 35% per offrire occasioni di intrattenimento, cioè gratificare l’utente. Le aziende che investono di più in branded entertainment sono quelle del settore alimentare (21,2%), dell’automotive e delle technologies. Da notare come, rispetto all’anno scorso, i settori di alimentari e tecnologia sono in crescita, e i settori beverage e abbigliamento in calo. Il valore medio dei progetti è di 158 mila euro. C’è grande ottimismo nella crescita del mercato per il triennio 2015-2017: il 42% degli intervistati è certo di un incremento delle attività di Branded Entertainment, il 49% afferma che probabilmente aumenteranno, nessuno pensa che potrebbero diminuire. Beto Fernandez prova a proporre una formula: 70-20-10. Dove il 70% potrebbe essere il budget da impiegare per le certezze, cioè l’adv classico, il 20% le risorse da impiegare in altri progetti, come il digitale. Ma, ci dice, “salvate quel 10% di budget per fare qualcosa di ignoto, di mai fatto prima”. Magari uscirà un progetto meraviglioso come il progetto “Mentos Mentors”, in cui alcune persone, guidate a distanza (grazie ad auricolari) da alcuni bambini, hanno cominciato a rivolgersi a degli sconosciuti per la strada, a parlare con gli altri, oggi che tutti guardiamo solo i nostri smartphone. È un contenuto coerente con il cuore della marca, per cui la caramella è un modo di attaccare discorso, ma porta con sé anche il candore dei bambini, loro sì abituati a dire tutto a tutti. È anche con questi colpi di genio che si fa Brand Entertainment.

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