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13/11/2018
di Alessandra La Rosa

Dal digitale un indotto di oltre 89 miliardi di euro, con più di 675 mila posti di lavoro

Oggi il mercato internet vale 65 miliardi di euro (+11,6%) e impiega oltre 285 mila professionisti. I dati di uno studio EY e IAB Italia, presentato a IAB Forum

L’industria digitale in Italia prosegue nella sua crescita per il terzo anno consecutivo, con ripercussioni positive sia sull’economia sia sull’occupazione. E' quanto emerge dalla ricerca congiunta di EY e IAB Italia “Le infinite possibilità del digitale in Italia”, presentata in occasione della seconda giornata di IAB Forum. Secondo lo studio, il valore del digitale a perimetro ristretto, considerando cioè solo gli investimenti in attività del tutto digitali, ammonta a 65 miliardi di euro, +11,6% rispetto all’anno scorso e +22% se paragonato al 2016. A fare da traino a questa crescita del mercato sono per il secondo anno la pubblicità online e l’e-commerce, con incrementi rispettivamente del 13% e 15% rispetto al 2017, anche se i pesi sul valore complessivo si attestano intorno al 4% e 44%. «La crescita del digitale ha effetti positivi anche sull’occupazione con 285mila professionisti nel 2017 rispetto ai 253mila dell’anno precedente - commenta Carlo Noseda, Presidente di IAB Italia -. Si tratta di persone impiegate a tempo pieno in ambiti come il digital marketing e la comunicazione interattiva, la tecnologia che permette di erogare servizi online, ma anche e-commerce, online advertising e sviluppo di app. Il valore dell’industria digitale porta con sé rinnovamento e trasformazione in tantissimi altri settori adiacenti, stimolando la produttività in aziende non necessariamente votate all’innovazione. La politica economica del Governo può e deve svolgere un ruolo più determinante e di sostegno alla digitalizzazione, per una maggiore competitività a livello di sistema, un aspetto su cui l’Italia ha ancora un gap importante rispetto al resto dell’Europa e che va colmato per uno sviluppo dell’economia a lungo termine». La ricerca evidenzia come il digitale porti valore anche al di fuori del suo perimetro. Se partendo dal dato del settore digitale, si aggiunge una stima del valore dei beni e servizi acquistati da consumatori attraverso canali fisici di distribuzione, ma che generati grazie alla comunicazione digitale si arriva a un indotto di oltre 89 miliardi di euro e con una stima sull’occupazione di più di 675mila persone, con professionalità anche non digitali ma che con il loro lavoro partecipano allo sviluppo del digitale. «L’economia digitale, ha necessità di combinare nuove competenze e nuovi stili di management. Dati e tecnologie digitali rappresentano la frontiera da esplorare per ottimizzare i processi esistenti, introdurre nuovi servizi, e, soprattutto, cambiare radicalmente le catene del valore dei settori industriali e dei servizi», commenta Andrea Paliani, Managing Partner Mercati e Clienti per la regione Mediterranea di EY. «Una recente ricerca che abbiamo condotto (EY-IAB- Spencer Stuart) ha confermato la progressiva presa di coscienza delle nostre imprese - ha continuato il manager -, il 70% del campione ha attivato, infatti, iniziative concrete per l’integrazione culturale e organizzativa di nuovi professionisti più digitali. Il 30% delle imprese ha avviato piani di sviluppo interno delle competenze. Il 71% del campione ha implementato azioni di integrazione delle generazioni più digitali al fine di accelerare la trasmissione di competenze tecnologiche e know-how digitale all’interno dell’organizzazione; il 27% ha avviato programmi di re-skilling delle risorse, per formare persone e sviluppare competenze in grado di massimizzare il ritorno di investimento del processo di digitalizzazione delle imprese. Questi dati dimostrano che sono stati fatti passi in avanti sul fronte delle nuove competenze; occorre ancora investire molto per superare il divario culturale digitale. Una delle frontiere da esplorare sono i nuovi stili di management richiesti per assecondare una trasformazione digitale delle aziende che valorizzi nuove e tradizionali competenze».

Competenze e formazione, esperienze a confronto a IAB Forum

E proprio l'importanza delle competenze e della formazione sono stati i temi al centro di una tavola rotonda seguita alla presentazione dei dati, alla quale hanno partecipato Elisabetta Ripa, a.d. Open Fiber e Momenbro Advisory Board IAB Italia, Carlo Noseda, Presidente IAB Italia, Sandro De Poli, Ceo General Electrics, Massimo Beduschi, Chairman e Ceo GroupM, e Fabio Florio, Country Digitalization Acceleration Leader International & Italy Cisco. «Non si può parlare di digital e di competenze digitali senza considerare la questione delle infrastrutture di base» ha spiegato Ripa, puntando l'accento sul ritardo che il nostro Paese ancora sconta rispetto al resto d'Europa sul fronte della banda ultralarga e del digital divide, «risultato di carenze sia in termini di investimenti che di competizione sul fronte delle infrastrutture». Carenze che il mercato sta cercando di recuperare, in una lunga rincorsa che, secondo Noseda, può nascondere dei rischi se non viene affrontata con la giusta attenzione: «Bisogna aver chiaro in testa come muoversi per approfittare al meglio delle innovazioni che stanno muovendo il mercato», ha detto, aggiungendo che, sul fronte della formazione, sia le università che le aziende hanno un ruolo fondamentale, che nella valorizzazione dei talenti «è necessario puntare sul concetto di "diversity", la diversità non solo di genere ma anche e soprattutto di pensiero». De Poli ha invece portato l'esempio di un'azienda come GE e della sua progressiva apertura al digitale: «Il digitale non è solo legato ai servizi, ma anche al mondo industriale come il nostro, dove anzi contribuisce a un profondo arricchimento sia dei processi che della produzione». Chi invece - non sorprendentemente - si nutre quotidianamente di digitale è il mondo pubblicitario, rappresentato nella tavola rotonda da GroupM. Beduschi ha sottolineato la volontà della sua azienda di attirare talenti della Generazione Z, abituati alle dinamiche web e in questo profondamente diversi dalle generazioni precedenti, e chi ha competenze scientifiche: «Nel nostro Paese, a confronto col resto d'Europa, i laureati nelle discipline STEM (acronimo per "Science, Technology, Engineering and Mathematics", ndr) sono ancora pochissimi rispetto a chi si è formato in materie umanistiche. Un gap che deve essere colmato per metterci al passo con l'estero, in un settore, come quello pubblicitario, che sempre di più ha bisogno di questo tipo di conoscenze». E chi si sta impegnando in prima persona sul tema formazione è Cisco, «sia internamente che con i nostri clienti, e sia con la formazione di giovani che con il cosiddetto "reskilling", offrendo la possibilità a grandi brand e PMI di creare corsi specifici per i dipendenti o piccole academy interne», ha spiegato Florio. Ma la formazione serve a poco se non si inserisce all'interno di strutture aziendali snelle e flessibili, adatte ad aggregare le competenze richieste di volta in volta dalle esigenze strategiche e di business, puntando su trasversalità e su diversità di approccio e pensiero.

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